Regia di André Øvredal vedi scheda film
Ovredal è un altro di quei registi che dopo un certo successo in patria, la Norvegia, vengono invitati a fare film in America, dove, generalmente, sperdono il loro talento. "Trollhunter", geniale fanta horror norvegese del 2010, fu davvero una boccata d'aria fresca nel genere e un'opera, a suo modo, epica e molto riuscita. Poi ecco, a distanza di qualche anno, spalancarsi le porte del grande mercato americano, complesso e di palato tutt'altro che fine, ed ecco questo nuovo horror, decisamente in scala minore rispetto a "Trollhunter". Il tutto si svolge in una sonnolenta cittadina della Virginia e in una "morgue" tutta stanze e corridoi vittoriani, dove padre e figlio, patologi anche un po' caciaroni si vedono recapitare un (bellissimo) corpo di giovane donna, di cui nessuno sa nulla. Fra un sezionamento e l'altro, tutto per stomaci abbastanza forti, il film s'avvia, appena i due poggiano i loro bisturi sulla pelle eburnea di questa "Jane Doe", nome datole per l'occasione, in un'angosciante sarabanda di cadaveri tornati in vita, temporali, luci che se ne vanno, apparizioni, sparizioni, fino al finale, decente, che non trascrivo. Una pellicola tutto sommato buona, che fa il suo dovere, ben lontana, chiaramente, da "Trollhunter", che usa tutti gli espedienti classici per "fare paura", riuscendoci, in realtà, abbastanza poco, almeno per quel che mi riguarda. Gli ottanta minuti concessi a Overdal sono forse troppo pochi, i mezzi pure, e solo la convinzione dei due attori principali reggono l'impalcatura generale. Un horror estivo, tutto patatine e birra, da vedere in compagnia, senza infamia e senza lode. Ovredal ha del talento, comunque, e spero non venga ingoiato dall'anonimato dell'horror americano, spesso piuttosto inutile e da drive in, altrimenti meglio tornare in Norvegia e fare cose più sincere e originali.
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