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Barry Seal - Una storia americana

Regia di Doug Liman vedi scheda film

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La recensione su Barry Seal - Una storia americana

di supadany
6 stelle

A forza di sentirne sempre di nuovi, ormai siamo anestetizzati dagli scandali, piccoli o grandi che siano. Si stava meglio tanti anni fa, quando imperava il grande sogno americano. Prosperità per tutti, chiunque poteva arricchirsi e togliersi ogni sfizio, alimentando il sistema. Forse non proprio tutti, sicuramente i più furbi, chi era abbastanza avventato e scaltro da infilarsi tra i dettami di Ronald Reagan e gli affari di Pablo Escobar (già, ancora lui, il cinema sembra non poterne più fare a meno). Altri tempi, per una storia americana, come da sottotitolo italiano, una tra le tante, tra illeciti reiterati fino all’eccesso, con droga e armi da smerciare tra Stati Uniti e Sudamerica, all’insegna di un’unica finalità: guadagni da capogiro.

Una formula magica quella che vede la ricerca della ricchezza e droga primeggiare, cui il cinema, in varie forme, ha spesso attinto, in alcune circostanze portando a risultati di ben altra caratura. Qui si vola tanto ma preferendo la bassa quota.

Stati Uniti, 1978. Barry Seal (Tom Cruise) è un pilota di aerei di linea dedito al contrabbando di sigari cubani, giusto per arrotondare il bilancio domestico. Avvicinato da Monty Schafer (Domnhall Gleeson), uno spigliato agente della Cia, viene convinto a lavorare per lui, sorvolando zone calde a sud degli States per fotografare dall’alto il territorio. Da lì a conoscere, Pablo Escobar, il passo è breve. Barry stringe un accordo secondario con lui e continua ad alzare il tiro delle sue azioni, finendo all’interno di un ingranaggio senza una via d’uscita e che, soprattutto, non ha alcuna intenzione di mollare, anche dopo aver già incamerato talmente tanti dollari da non saper più dove nasconderli.

 

Tom Cruise

Barry Seal - Una storia americana (2017): Tom Cruise

 

Tre anni dopo aver condiviso le – meritate – fortune di Edge of Tomorrow – Senza domani, Doug Liman e Tom Cruise tornano a lavorare insieme, in un titolo di tutt’altra appartenenza.   

Barry Seal s’insinua laddove la legalità è ripiegata nel cassetto, guardando indietro nel tempo per parlare una lingua universale che non passa mai di moda, quella che vede dollari a palate e droga ovunque, con personaggi che aggirano le regole senza timore, come il cinema ha proposto tante volte, da Scarface a The wolf of Wall Street, giusto per fare due esempi.

Il film di Doug Liman concentra ogni attenzione su un personaggio marginale, uno tra i tanti, destinato ad arricchirsi a dismisura, mettendo in disparte la tranquilla monotonia del posto fisso per coltivare l’avidità più smodata, una scelta che porta inevitabilmente alla cessazione di ogni forma del senso della misura.

Senza possedere la scorza del cult movie, Barry Seal contempla una costruzione che ricerca, anche con ostinazione, il riscontro. La regia è aggressiva, il montaggio elettrico e la fotografia dell’uruguaiano César Charlone - sodale collaboratore di Fernando Mereilles in City of God, The constant gardener e Blindness – tratteggia con tutte le discrepanze del caso i vari avamposti, garantendo gran varietà alle riprese.

La parabola, che con tutte le varianti del caso non può che presentare un inizio e una chiusura dal sentore comune, ha un armamentario che prevede tutto quanto occorre per accaparrarsi le simpatie del pubblico, con guai che ne richiamano sempre di ulteriori e un protagonista che sta al gioco, sempre con il sorriso, anche quando c’è poco da ridere.

Barry Seal funziona, è tonico nel mostrare il bucolico desiderio di arricchimento, non prevede rese nemmeno di fronte all’evidenza, con un doppiogiochismo diffuso, fino ad arrivare al caos legislativo quando Cia, Dea, Fbi e polizia arrivano contemporaneamente su Barry, con la legge che continua a far finta di niente, ben sapendo di contare relativamente.

Dunque, il materiale abbonda, per un dispositivo che ammassa indistintamente, preferendo di gran lunga la quantità, senza franare, sviluppandosi con agilità, raggiungendo comunque di rado lo scalpore (per dire, il top arriva in una scena presente nel trailer, non un bel segnale).

In mezzo a tutto questo, Tom Cruise può rispolverare le lezioni da Top gun, ma soprattutto gli torna utile una spiccata indole strafottente, con il classico sorriso, presente anche in versione ammaccata (inciso divertente). Intorno a lui, Domnhall Gleeson giostra sull’opposto, badando a una pregevole precisione, mentre la lady della situazione è interpretata dalla poco nota Sarah Wright, che non è certo la Margot Robbie di turno, tanto più perché Doug Liman non ha intenzione di spingersi troppo oltre, anche di fronte alle evenienze più propedeutiche (scene di sesso, scontri verbali e momenti felici che siano).

 

Domhnall Gleeson

Barry Seal - Una storia americana (2017): Domhnall Gleeson

 

Alla fine, il meccanismo è rodato, decorato in ogni occasione utile, calibrato per non creare alcuna forma di possibile fastidio anche quando basta un’ombra per fare paura, fermando l’inquadratura un secondo prima di correre il minimo rischio, senza prestare grande attenzione a qualsiasi cosa bazzichi appena fuori all’ottica del protagonista.

Un bel motore, ma troppo giudizioso e interessato al risultato per non finire accantonato dalla memoria comune nel giro di pochi mesi.     

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