Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film
Mungiu continua nella sua esplorazione della società rumena post rivoluzione, imperniandola, questa volta, attorno ad almeno due generazioni successive e a un padre e una figlia. Detta così, pare limitante, ma in realtà il film dello splendido regista rumeno (uno dei più interessanti registi europei attuali) viaggia su molte più coordinate, finendo per essere una vivisezione della borghesia rumena profondamente intrisa di delusione e corruzione. Una delle novità è proprio la trattazione di un ceto sociale, per la Romania, piuttosto insolito, ovvero quello della generazione del dopo Ceausescu, che è passata dai sogni del cambiamento ad un'agiata, stanca, monotona routine quotidiana, piagata dai tipici mali della famiglia benestante occidentale che all'epoca invidiavano. Il padre vede nella figlia la speranza di un affrancamento, di una vita finalmente risolta e felice, e fa di tutto perché questa riesca a superare gli esami di maturità e finire a studiare in Inghilterra. Attorno c'è, però, la sua vita in sfacelo, la moglie che lo lascia e la stessa figlia che, come lui da ragazzo, vuole invece decidere lei il proprio futuro. E appena oltre la cerchia familiare, il solito valzer di amanti, corruttori e corrotti, cani randagi e palazzoni grigi, unica eredità, forse, di un regime mai dimenticato. Un lungo dramma borghese, forse troppo lungo, ma che ha dalla sua una regia attenta e mirabile e degli attori semplicemente fenomenali: per profondità di tema e recitazione, si potrebbe quasi pensare di trovarsi in uno di quei tipici drammi danesi o comunque nordici. Film poco latino, se si vuole, ma raggelato e raggelante, chirurgico come il lavoro del suo protagonista, verboso e che necessita di attenzione e di empatia, ma soprattutto film importante, grande Cinema, come in tutti i lavori di Cristian Mungiu, autore consigliatissimo e necessario.
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