Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film
Romeo (Adrian Titieni) è un medico d’ospedale che ha ormai smesso di credere che la Romania possa migliorarsi come paese. E’ sposato con Magda (Lia Bugnar), ma il loro matrimonio è in crisi acuta, stanno insieme solo per non far soffrire la figlia. Ha un amante, Sandra (Manila Manovici), sua ex paziente e madre di un bambino, Matei (David Hodorog), con seri problemi di linguaggio. Romeo vuole che la figlia Eliza (Maria-Victoria Dragus) vada a studiare in Inghilterra dopo il diploma, cosa di cui lei non è tanto convinta, anche perché legata sentimentalmente con Marius (Rares Andrici). Gli esami di maturità sono prossimi e la media del 9 potrà garantire ad Eliza la borsa di studio necessaria per potersi inscrivere ad un’università londinese. Ma il giorno prima degli esami la ragazza viene aggredita da un delinquente compromettendone la stabilità psicologica. Eliza è stata sempre una studentessa particolarmente brillante, ma questo evento traumatico potrebbe mettere a repentaglio il buon esito degli esami . Romeo vuole che la figlia se ne vada dalla Romania, e quindi gli esami devono andare come devono andare.
“Un padre, una figlia” di Cristian Mungiu è un film che esprime una rabbia inespressa, per un paese che si vorrebbe diverso da com’è, fosse solo perché non consente quasi mai di prendere delle scelte senza dover scendere a compromessi. E’ intriso di una malinconia che non scaturisce tanto dalle cose che accadono, ma dai desideri che non si sa mai se verranno soddisfatti, con i genitori a fare da bussola per chissà quale direzione da propinare ai figli. Già il titolo rende chiaro che a Cristian Mungiu interessa mettere in evidenza lo scarto generazionale tra genitori e figli, non tanto per parlarci delle possibili incomprensioni filiali, ma per rappresentare il diverso modo di essere disorientati in un paese che ancora non è riuscito a trovare le sue migliori coordinate etiche e sociali. Infatti, nel cinema dell’autore rumeno, attore subito riconoscibile ma mai accreditato veramente, è un sistema paese lacerato dalle sue profonde contraddizioni, ancora troppo schiavo delle pastoie burocratiche e di una gestione clientelare della cosa pubblica per pensare di aver risolto i conti con il regime di Nicolae Ceausescu, che è come un ombra che si insinua malevola in molti aspetti della vita sociale, a tarpare le ali di ogni speranza viva di cambiamento. I suoi personaggi sembrano sempre in attesa di un qualcosa che non arriva mai, in bilico tra un passato che si vorrebbe definitivamente lasciare alle spalle, e un futuro di cui non si riesce ancora a capire la forma. Intanto, sono impegnati a vivere un presente sempre pronto ad offrire dilemmi morali, incastrato tra una rivoluzione abortita ed una restaurazione applicata.
Questo è un aspetto cardine della poetica di Cristian Mungiu, rinvenibile tra l’altro in molto cinema rumeno di quest’ultimo decennio (tra i più vitali a mio modesto avviso), mosso dall’urgenza di raccontare con piglio “verista” la difficile transizione della Romania nel ventre rassicurante del “promesso” eldorado liberista. In questo quadro, sono soprattutto le donne a rappresentare la voglia di confrontarsi con il domani senza troppe recriminazioni, sono loro, la parte debole di una società sostanzialmente maschilista, a dover sopportare lo straripante egocentrismo maschile (cosa che viene rinfacciata più volte, e da diverse donne, a Romeo). Così come è importante il ruolo simbolico attribuito ai genitori, impegnati a proteggere i figli da ogni ombra proveniente dal passato, lasciando a loro stessi il gravoso incarico di tessere la tentacolare trama dei compromessi “giustificabili”. Emblematica è una sequenza precisa, quella che ritrae Romeo e Magda discutere con pacata rassegnazione sul futuro della figlia. “Quello che devi capire è che non ha tutta questa importanza la maturità, neanche quello che studia a scuola ha tutta questa importanza. Tutto quello che conta veramente è arrivare a vivere in un mondo normale”, dice Romeo, al culmine evidente del suo disincanto sociale. “Ma conta anche il modo in cui riesci ad arrivarci” risponde serafica la moglie. Ecco, questo semplice dialogo dimostra come la Romania giochi sempre un ruolo importante nella determinazione delle scelte da prendere, insinuando, in alcuni, la convinzione che è molto più facile trovare delle scorciatoie poco lecite se si vuole fare strada nella vita, e in altri, l’idea che, per migliorare veramente le cose, occorre rimanere dei cittadini onesti nonostante tutto, anche sapendo che da questa scelta può derivare un prezzo alto da pagare. Nessun personaggio di questa storia è completamente negativo, ma di fronte alla generale corruzione dei costumi, ognuno è tentato a cedere una parte della propria integrità morale se questo può servire a migliorare il proprio futuro. Detto altrimenti, ognuno si sente necessitato dal non poter agire altrimenti in un paese che ha regolarizzato il lassismo delle regole. Romeo esemplifica ottimamente questo assunto narrativo volutoda Cristian Mungiu. Per amore della figlia, l’unica cosa rimasta in una vita votata allo sbando, inizia una ribellione del tutto particolare contro il suo paese. Una ribellione silente e disordinata finalizzata all’unico scopo di garantire alla figlia un futuro migliore, lontana dalla Romania, in Inghilterra, “in un paese normale”, dove è più raro che una ragazza venga impunemente aggredita in strada e dove non bisogna elemosinare a nessuno una qualsiasi cosa che ci spetta di diritto. Per amore della figlia, Romeo va contro la sua stessa natura di uomo e professionista integerrimo, una volta convintosi che, credere nei valori di cambiamento coma ha sempre fatto, “non è più possibile in Romania”. Una natura che gli si rivolta contro, perché non ha fatto i conti con una figlia che è proprio come i genitori l’hanno cresciuta : semplice ed amorevole, frutto di un presente sicuramente incerto, ma anche di un domani, forse, veramente migliore.
Questo è “Un padre, una figlia”, un film dal realismo impegnato che tocca temi dalla caratura "universale", anche se si concentra sullo stato di salute di un paese intero attraverso spaccati emblematici di vita quotidiana, con un’ asciuttezza stilistica che non tradisce affatto il calore emotivo sprigionato dall’impianto narrativo. Un opera che conferma (a mio avviso) Cristian Mungiu come uno degli autori più importanti del panorama cinematografico contemporaneo. Ancora grande cinema dalla Romania.
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