Regia di Bertrand Bonello vedi scheda film
Un distacco dalla realtà contrassegnato dall'oracolo mediale di una tv al plasma che preannuncia l'inevitabile assedio, ma soprattutto dalla silenziosa pantomima di reparti nerovestisti che come nelle pagine più oscure di una storia destinata a ripetersi, sono gli implacabili latori di un messaggio di morte da consegnare rigorosamente al buio.
Un gruppo di ragazzi di diversa estrazione sociale mette in atto un piano dinamitardo dimostrativo che colpisce i punti nevralgici del potere istituzionale ed economico della capitale francese. Asserragliatisi in un centro commerciale evacuato per l'allerta suscitata, attenderanno l'inevitabile.
È quasi indipendente
Ancora poche ore
Poi gli darò la voce
Il detonatore...
Dotato di un senso del reale che trascolora naturalemnete nella metafora e nel simbolo, questo incubo ad occhi aperti (come quelli, bellissimi, nei primi piani di tutti i protagonisti) di Bertrand Bonello si configura tanto come una rappresentazione di una civiltà del consumo capace di fagocitare qualunque tentativo di reazione anarchica, inglobandola e isolandola in uno dei suoi moderni santuari per antonomasia (il centro commerciale dove attendono, sotto assedio, i consapevoli morti viventi di una pretestuosa rivolta anti-sistema), quanto come la sconfitta annunciata di una offensiva contro il potere che sancisce in modo definitivo il primato di un dominio plutocratico che pretende di difendere con la violenza e la sopraffazione gli interessi e la sicurezza di tutti.
Lontano da una vera e propria polemica di tipo politico o sociale ed accennando en passant alle plausibili ragioni del multietnico consesso di bombaroli improvvisati (le sperequazioni sociali, la precarietà del lavoro, il giogo del potere finaziario, la connivenza di una politica asservita), questa messa in scena in due atti (uno sul campo ed uno indoor) di una rivolta tanto studiata quanto irrazionale, diventa presto una allegoria della velleitaria inconsistenza di qualsiasi pensiero eterodosso; il sentimento del totale scollamento da una realtà su cui non si può avere alcuna presa e perciò destinato a naufragare nel tragicomico rituale di un'attesa senza speranza in una cittadella sotto assedio; tra toilette da prêt-à-porter da sfoggiare a piacimento, manichini dei reparti sportivi fatti a propria immagine e somiglianza e persino nello sfoggio in play back di un repertorio globalizzato che ci impone modelli e stili oltre qualunque pretesa di autonomia e di identità culturale (il revanscimo della Giovanna d'Arco data alle fiamme o l'immagine di un Marat nella vasca da bagno del reparto sanitari prossimo all'inutile sacrificio).
Un distacco dalla realtà contrassegnato dall'oracolo mediale di una tv al plasma che preannuncia l'inevitabile assedio, ma soprattutto dalla silenziosa pantomima di reparti nerovestisti che come nelle pagine più oscure di una storia destinata a ripetersi (gli Spetsnatz al Dubrovka come le BRI al Bataclan) sono gli implacabili latori di un messaggio di morte da consegnare rigorosamente al buio.
Titolo tra l'onirico e l'evocativo tratto dall'omonimo albun di Nik Cave, per un film rifiutato a Cannes a causa dei tragici eventi del 2015 ma che ha avuto, non ostante il coraggio di un soggetto scomodo dai rivolti marchianamente surreali, una ottima accoglienza critica.
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