Regia di Anthony Ascott (Giuliano Carnimeo) vedi scheda film
Questo è il secondo e ultimo capitolo della mini-saga di Alleluja, interpretato da George Hilton in entrambe le occasioni per la regia di Giuliano Carnimeo sotto pseudonimo di Anthony Ascott. Carnimeo amava in quegli anni girare spaghetti western dai forti connotati comici, leggerissimi nei contenuti e dotati di una sia pur minima morale positiva, sulla falsariga insomma di Trinità (arrivò poi a dirigere anche un paio di Simone & Matteo, vergognosi plagi delle disavventure della coppia formata da Bud Spencer & Terence Hill), con titoli wertmulleriani e annessi puntini di sospensione; il suo attore di riferimento era proprio Hilton, non disprezzabile nemmeno qui d'altronde. Ma il fulcro della sceneggiatura di Giovanni Simonelli, Tito Carpi e Ingo Hermes sta nel caleidoscopio di roboanti vicende in cui viene catapultato continuamente il protagonista, che in questa pellicola non incontra soltanto i soliti rivoluzionari messicani e i pericolosi banditi del vecchio west, ma anche un sicario vestito da Zorro e dal pesante accento siculo (macchietta affidata al sempre bravo Riccardo Garrone), una sorta di 'cummenda' dalla parlata del nord Italia (idem come sopra per Umberto D'Orsi), un damerino scozzese e via di questo passo. Si ridacchia, a denti stretti, ma va apprezzata l'onestà del prodotto, che non si propone molto più che questo; nel cast ci sono anche Lincoln Tate e Nello Pazzafini, mentre la colonna sonora di Stelvio Cipriani suona un po' banalotta e l'altro Stelvio, cioè Massi, si occupa della fotografia. Per il regista questo era il terzo film a uscire nel 1972; l'anno seguente confermerà i ritmi da catena di montaggio con un'analoga performance. 3,5/10.
Le disavventure di un furbo pistolero alla ricerca di un idolo sacro da consegnare a un rivoluzionario messicano.
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