Regia di Luigi Di Gianni vedi scheda film
Un malato di mente, dopo l’ennesima crisi, riesce a fuggire dalla clinica in cui è internato. Precipita in una realtà distopica, allucinata e ostile nella quale lo attende una condanna a morte. Ma è solo un suo sogno, forse.
Difficile immaginare che Luigi Di Gianni, già documentarista da un paio di decenni, con il suo sguardo antropologico e la sua vena pittorica nella composizione della scena, avrebbe debuttato nel lungometraggio a soggetto con un film meno che memorabile. Ecco perché Il tempo dell’inizio non sorprende del tutto, per quanto in sé rappresenti una bella scoperta anche al netto del contesto temporale in cui esce, vale a dire i fervidi anni Settanta nei quali il cinema nostrano ancora produceva in quantità e in qualità, lasciando ampio spazio ai cosiddetti autori. Per Di Gianni l’attributo è d’obbligo e questa pellicola lo dimostra ampiamente; Il tempo dell’inizio è una sua sceneggiatura che richiama alla mente opere letterarie eccellenti come Il processo di Kafka o 1984 di Orwell – un futuro distopico e ostile, una climax di follia, un’atmosfera di perenne dubbio, a cavallo tra oscura realtà e fantasia malata, e naturalmente un protagonista disturbato. Bianco e nero (di Giuseppe Aquari e Mario Masini) senz’altro suggestivo, ma forse un po’ impegnativo, specie per la durata che sconfina di qualche minuto le due ore; il ritmo è forse il punto maggiormente dolente dell’opera, anche perché i dialoghi scompaiono per lunghe sequenze, mentre il commento sonoro di Egisto Macchi, già più volte collaboratore del regista, è puntuale rimanendo sempre in secondo piano. Qualche nome degno di nota nel cast: attorno al protagonista, Sven Lasta, non particolarmente incisivo ma neppure dannoso, troviamo Milena Vukotic, Renato Pinciroli, Rada Rassimov, Claudio Volontè e Alessandro Haber. 6,5/10.
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