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Il tempo dell'inizio

Regia di Luigi Di Gianni vedi scheda film

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La recensione su Il tempo dell'inizio

di OGM
6 stelle

David cerca per il mondo una salvezza che il mondo respinge.

Fuori non si sa cosa ci sia. Le pareti del manicomio sono diroccate, rugose di antichità e di incuria. Ma, dentro, il “metodo” è moderno. Offre una specie di rifugio dalle incomprensioni del mondo, che costringono chi è diverso a sentirsi malato, bisognoso di cure e riposo. David Lamda è finito lì, perché ha gridato alla gente il suo messaggio, dalla cima di un edificio. Voleva parlare a tutti, e per questo è considerato un soggetto antisociale. Ci sono cose che tutti segretamente desiderano, ma pubblicamente disprezzano. Come fare la guerra. Come dare fuoco alle città. Come ribellarsi al potere che opprime e sfrutta, senza dare alcuna speranza. L’appiattimento è chiamato uguaglianza. L’inerzia è chiamata pace. Dire di no significa non stare ai patti. David, nel sonno artificiale indotto dagli psicofarmaci, sogna l’incubo che è già diventato realtà: un regime in cui la follia è dettata dal potere, che trasforma l’utopia in sottomissione ad un ideale fatto di solo ordine ed assenza di pensiero. In quella dimensione immaginaria, i medici e gli infermieri sono artefici di un politica che governa tutti per non avere nulla da governare, per potersi limitare ad incassare i frutti materiali dell’assoggettamento, senza dover risolvere problemi, realizzare obiettivi, inventare mezzi. È il regno di un’operosa tranquillità, diligente ma priva di creatività, che raccoglie anziché costruire: è erede della morte, mentre saccheggia i campi di battaglia, sottraendo rifiuti al deserto in cui niente potrà mai crescere, e tutto, prima o poi, viene sepolto dalla sabbia. Nessuna memoria da conservare. Solo refurtiva da consegnare ai capi. Ma, per David, quella statuina di terracotta non è una semplice “cosa”. È un’immagine viva, il ritratto di una donna colta nell’atto di alzare le braccia al cielo, forse per urlare, per lanciare un’ultima sfida. Vibra di  sdegno e di coraggio, invocando aiuto, condannando il male.  Il disagio proclamato a gran voce è il vero anticonformismo: il resto è una rassegnazione estetizzante, che addormenta i sensi, eternando i canoni, perpetuando la seduzione dell’apparire. Questa storia segue il ritmo lento di una giostra ricca di sorprese decorative, ma monotona nel suo ruotare intorno al solito, ripetitivo gioco delle parti, in cui servi e padroni sono complici nel dividersi la scena, a tutto beneficio del popolo, quello che è da qualche parte, sotto il balcone, oltre la finestra, e che è lì solo per guardare: un vecchio sovrano bardato come un burattino o una giovane regina che si apre la scollatura. La piazza è vuota, eppure il pubblico, ovunque sia, applaude. Si compiace di nascosto della gloria di cui non ha nessun merito. L’uomo della strada esce allo scoperto solo per partecipare agli schiamazzi della festa del patibolo, per istigare alla crudeltà contro chi è miserabile ed illuso come lui. Invisibile e insignificante, diventa forte adeguandosi, schierandosi, con tutti gli altri, contro la rivoluzione tentata dal folle incendiario, mentre lo accompagna tripudiante al rogo. 

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