Regia di Werner Herzog vedi scheda film
L’attrazione di Herzog per la natura, i territori quasi incontaminati che rimangono sul pianeta, o la loro difesa a seguito di devastazioni subite dall’ingerenza umana, sono noti da tempo e testimoniati da diversi spesso egregi documentari da parte del cineasta. Conosciamo anche, grazie al suo recente meraviglioso Into the volcano, il fascino e l’attrazione che i centri eruttivi nevralgici del pianeta esercitano sul tenace curioso ed impegnato cineasta.
In Salt and fire Herzog tenta la via della denuncia non ricorrendo, come avviene felicemente di solito, alla forma espressiva del documentario, ma parlandoci dell’evento da denunciare attraverso un vero e proprio film a soggetto, tutto incentrato su una squadra di ricercatori delle Nazioni Unite, impegnati a recarsi in Bolivia per studiare una anomala e sempre più vasta formazione di sale che ha prosciugato il lago che una volta cingeva quelle zone, desertificando quasi totalmente l’ambiente circostante.
Recatisi sul posto una ricercatrice tedesca, Laura (Veronica Ferres), ed il suo focoso e un po’ bizzarro collaboratore italiano, Fabio (Gael Garcia Bernal), nel momento in cui la donna viene accompagnata a visionare la zona, il capo della spedizione, tale Matt Riley (Michael Shannon), appena le jeep raggiungono una piccola collina che si staglia sopra quel mare di sale, proprio a ridosso del grande vulcano centrale, abbandona la donna in quella desolazione, lasciandola assieme a due fratellini boliviani semi ciechi.
Con razioni di viveri ed acqua per una sola settimana, la donna, convivendo con quei due dolci e sfortunati bambini, accecati dalle conseguenze del disastro ecologico che ha colpito la zona, impara a confrontarsi con il fascino e la desolazione di quell’ambiente.
L’azione folle dell’eccentrica guida si è dimostrata come un tentativo ufficiale per attirare l’attenzione dell’informazione sulle problematiche di quella vasta zona, esposta ad una possibile eruzione la cui lava, al contatto con il mare di sale creatosi con l’essicazione delle acque, comporterebbe per l’intero pianeta la formazione di una nube così spessa e densa da cancellare il sole ed i suoi indispensabili influssi benefici e vitali per l’ambiente.
Per Herzog dunque la vicenda è a sua volta, come il tentativo estremo della guida di rapimento della scienziata, un tentativo di esporci le problematiche ricorrendo ad una narrazione che sostituisce per una volta il documento.
Un tentativo originale e lodevole, ma non proprio riuscito: la vicenda appare forzata in molti dei suoi tratti, i personaggi troppo superficialmente costruiti, l’intervento dei due bambini portatori di un grave handicap, uno strumento a doppio taglio che finisce più per nuocere all’economia della narrazione.
E i tre protagonisti finiscono o per divenire pedine monodimensionali dalla insufficiente profondità per poter risultare credibili, o addirittura, come nel caso del personaggio dello scienziato reso da Gael Garcia Bernal, dei personaggi fantoccio inutili fino all’inconsistenza.
Peccato perché la potenza visiva del paesaggio, della natura circostante, ferita e pronta a reagire, rimane davvero affascinante al pari degli straordinari documentari precedentemente dedicati dal gran regista all'ambiente.
Decisamente meglio pertanto, in quanto più efficace e lucido, il ricorso del gran regista all'uso espressivo della ricerca docuemntaristica, tecnica espressiva e rappresentativa a cui speriamo che Herzog torni per affrontare questo suo apprezzabile e lodevole sforzo a favore dell’ambiente, minacciato da più parti, ma sempre dal medesimo, arrogante e superficiale nemico: l’uomo.
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