Regia di Oliver Stone vedi scheda film
L’informazione è veicolo di conoscenza. Velato se sussurrata. Altamente (ma illegalmente) redditizio se “privilegiata” (o “riservata”).
Ecco, al di là della caterva di sequenze di numeri razionali che scorrono a fiumi sulle bande elettroniche di saloni asfissianti e turbolenti (moderne bolge infernali dove si scazzottano moderni dannati in giacca e cravatta), non è la capacità di decriptazione delle stesse la chiave d’accesso per i palazzi dell’alta finanza, bensì proprio l’informazione in sé. Ciò che le muove e dà loro un senso. Ma non un’informazione qualsiasi. L’informazione “privilegiata”.
Peccato che l’utilizzo di tali informazioni (da parte di chi evidentemente - esercitando certe funzioni - è in condizione di disporne senza sforzo, a differenza e a discapito di tutti gli altri operatori finanziari) per speculare sui vari prodotti finanziari sia (ormai in tutto il mondo) un reato. Si chiama Insider trading e - almeno negli U.S.A. dove certe grane vengono prese sul serio - non c’è lacrima di coccodrillo che tenga.
(Anche) con Wall Street O.Stone fa centro.
Non fotografa soltanto il marciume che minaccia la regolarità delle transazioni finanziarie. Egli fotografa il marciume che sovrasta una società intera fondata su un capitalismo sfrenato e sregolato (perchè a dettarne le poche regole sono gli stessi chiamati a rispettarle…con conseguente macroscopico conflitto d’interessi). Un capitalismo che - forgiato a immagine e somiglianza di quelli come Gordon Gekko - può facilmente - con gli opportuni “incentivi” - dettare le priorità dell’agenda politica dei R.Reagan di turno (per cui il risultato del match libero mercato versus democrazia è già scritto). Perché la grettezza non è soltanto prerogativa indiscussa delle assemblee degli azionisti (tanto che l’invocazione di Gekko alla loro avidità viene accolta con un’imbarazzante ovazione). E’ il motore di tutte le società capitaliste (quella statunitense degli anni ’80, ma anche quelle del III millennio, impantanate - ancora oggi, 1°gennaio 2013 - in una crisi senza fine).
Stupisce, allora, che ci sia qualcuno (tra gli opinionisti di FilmTV) che lamenti un’eccessiva freddezza nella messinscena (a mio avviso, impeccabile, soprattutto la fotografia e il montaggio). Lasciamocelo dire da uno che di "giungle" se ne intende (vedasi Salvador e Platoon). Wall Street è una giungla spietata cui si accede solo dopo aver dato la disponibilità di vendere propria madre al miglior offerente pur di realizzare utili da distribuire ai propri soci.
Un oceano di famelici squali dove, prima di immergersi, bisogna dotarsi delle necessarie precauzioni (lo studio a memoria de L’arte della guerra di Sun Tzu è un buon inizio). E’ il nuovo caotico tempio dove ci si raccoglie per pregare un unico antichissimo dio, vecchio come il mondo: il dio denaro; ma non quello dematerializzato (di quello bisogna sbarazzarsene prima della chiusura giornaliera della Borsa): piuttosto quello che apre la porta del successo e del lusso sfrenato (“l’illusione deve diventare realtà”).
Non c’è spazio, dunque, per l’etica e i buoni sentimenti. E qualunque eventuale loro traccia viene voracemente fagocitata ed espulsa in tutta fretta, tra lacrime e rimpianti.
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