Regia di Michael Dudok de Wit vedi scheda film
Primo lungometraggio di de Wit (premio Oscar per il corto Father and Daughter), La tartaruga rossa unisce due dei mondi più fertili per quando riguarda l’animazione: quello giapponese e quello francese. Co-prodotta dal mitico Studio Ghibli, questa piccola, grande gemma d’animazione riesce, per mezzo della totale assenza di dialoghi, a farsi portatrice di un messaggio universale e metaforico comprensibile a chiunque ad ogni latitudine.
E’ un’emozionante favola che parla dell’eterno confronto sempre impari tra l’uomo e una natura talvolta benevola, amorosa, accogliente, talvolta impassibile, instabile, terribile, implacabile.
Se all’inizio può ricordare Robinson Crusoe, se ne discosta nettamente ben presto e procede per la sua strada, facendo passare, sottilmente, sottovoce, un’importante messaggio di rispetto per la natura e per gli esseri che la popolano, uomo compreso.
Nonostante l’assenza dei dialoghi, l’opera di de Wit non annoia neppure per un secondo, perché bastano i gesti, le espressioni dei personaggi, i suoni della natura, gli alti e i bassi della colonna sonora a trasmettere tutto ciò che è necessario: emozione e coinvolgimento non sono mai negati.
E oltre al realismo, anche i territori del fantastico non rimangono inesplorati (magnifica la scena in cui il protagonista sogna di fuggire grazie ad un ponte immaginario sospeso sull’acqua).
Il regista lascia libera interpretazione allo spettatore riguardo ai fatti narrati, semplici, forse persino banali, eppure importanti, profondi e significativi.
Percorso da una sottile vena di malinconia e nostalgia per il tempo passato, La tartaruga rossa è un film delicato, poetico, intenso ed appassionante, splendidamente disegnato, animato e diretto, con un tratto leggero, raffinato e minuzioso: un trionfo di animazione tradizionale (sono in minima parte manipolata in digitale).
Assolutamente imperdibile, viene però distribuito nelle sale in Italia per soli tre giorni, tra l’altro non festivi (sorte toccata anche a tanti altri capolavori targati Ghibli), e ciò non ne facilita di certo la diffusione. Da recuperare, comunque, in home-video.
Candidato all’Oscar per il miglior film d’animazione, gli viene scandalosamente preferito il disneyano Zootropolis (in una competizione, è ben ricordarlo, in cui era presente per altro anche l’ottimo La mia vita da Zucchina): un’ulteriore prova (non che ce ne fosse bisogno) della miopia dei soci dell’Academy (che negli anni precedenti hanno negato il premio anche a film del calibro de La storia della principessa splendente, Si alza il vento, L’illusionista, Coraline, La sposa cadavere e Appuntamento a Belleville).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta