Regia di Michael Dudok de Wit vedi scheda film
E' un privilegio godere della visione di qualcosa di genuino, puro, incontaminato. "La tartaruga rossa" è semplicemente splendido! La summa dell'estro artistico di Dudok De Wit si concretizza in questa meravigliosa poesia sensibile, uno dei capolavori assoluti non solo del cinema animato, bensì di tutto il cinema del XXI secolo.
Michael Dudok De Wit è uno degli animatori più importanti e riconoscibili come stile a livello europeo: il tratto dei disegni, le colorazioni tenui ad acquerello e le sfumate col carboncino risaltano immediatamente un'autorialità definita del regista. Dudok De Wit plasma la sua impronta stilistica rifacendosi al minimalismo estetico dei grandi rivoluzionari del fumetto franco-belga come Moebius, alla grazia di Hayao Miyazaki e alle strisce d'autore meno caricaturali come i seminali The Yellow Kid, Mutt and Jeff e Buster Brown (la versione disegnata da Lawler). Anche a livello concettuale, Dudok De Wit si avvale già dai primi lavori di una poetica sottile. Si respira sempre, infatti, malinconia, un ricordare il passato in maniera spasmodica rifugiandosi nelle piccole cose della vita quotidiana per distrarre la mente da scomodi pensieri introspettivi (morte, vecchiaia, lontanaza, solitudine). Questo fil rouge sentimentale, oltre che grafico e visivo, fa del regista un piccolo genio del non detto, siccome ogni suo lavoro non si avvale di dialoghi strutturati ma, al massimo, di versi onomatopeici sia per far comunicare i personaggi delle opere, sia per rendere chiari a chi sta osservando i messaggi inseriti in esse.
Dopo aver realizzato Father and Daughter (2000), corto che vince un Academy Award, un BAFTA Award, il Grand Prix ad Annecy e dozzine di altri importanti riconosciementi, e il più recente The Aroma of Tea (2006), creato e animato interamente con il tè, Dudok De Wit rinnova definitivamente il suo lo stile ormai unico e consolidato. Questi due lavori sperimentali lo rendono famoso in tutto il mondo e lo elevano tra i registi d'animazione più interessanti degli anni 2000a. Non per altro, proprio nel 2006, l'artista belga riceve una chiamata da Toshio Suzuki dello Studio Ghibli, il quale gli chiede se vuole cominciare a lavorare al suo primo lungometraggio sotto la co-produzione di Isao Takahata. Inizia così la realizzazione di uno dei massimi capolavori del cinema animato: La Tartaruga Rossa.
La summa dell'estro artistico di Dudok De Wit si concretizza in questa meravigliosa poesia sensibile, uno dei capolavori assoluti non solo del cinema animato, bensì di tutto il cinema del XXI secolo. La poetica del regista raggiunge la sua massima espressione, dalla condizione precaria dell'essere umano (perno concettuale di Father and Son) all'ecologia (Tom Sweep), dalla fantasia visionaria all'oppressione del reale. Questa riproposizione di Robinson Crusoe di Defoe crea ponti filosofici tra la natura dell'animale sociale (l'uomo) e la natura del mondo (Dio), quasi richiamando il naturalismo spirituale di Terrence Malick in una dimensione nella quale non esistono voci ma solamente rumori e suoni selvatici. Artisticamente, la presenza dello Studio Ghibli non snatura ma, al contrario, accentua i caratteri dolci ed essenziali di Dudok De Wit, mentre realizza sfondi e sfumature fotografiche meravigliose nella loro semplicità. Ancora più straordinaria è la fusione stilistica tra occidente e oriente, che permette a La Tartaruga Rossa di godere di fondali e paesaggi che tanto si rifanno alla scuola fumettistica franco-belga e all'impressionismo, quanto integrano nella sobrietà delle tonalità di colore l'ukyo-e e il design grafico giapponese contemporaneo.
Lo spettacolo visivo è immenso. Michael Dudok De Wit, grazie a questo film, raggiunge i grandi nomi della storia dell'animazione degli ultimi vent'anni, riuscendo a realizzare un lungometraggio muto che scorre veloce e rimane sempre alto nella sua espressione poetica. Le immagini si fondono in maniera sublime con l'ottima e travolgente colonna sonora di Laurent Perez Del Mar, la quale aumenta la carica emotiva delle scene più surreali, suggestive e maestose dell'opera. Il cinema d'animazione europeo non raggiungeva livelli di bellezza tanto rari dal Faust (1994) di Svankmajer.
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