Regia di David Ayer vedi scheda film
I buoni contro i cattivi hanno ormai stufato: meglio i cattivi contro i cattivissimi. Almeno secondo D.C. Comix che tenta questa stramba carta per guadagnare terreno sulla Marvel, cinematograficamente imbattibile. Risultato insulso, vuoto, pur se formalmente ineccepibile quanto a coreografia e confezione. Un giocattolone inutilmente fragoroso.
La D.C. Comix vive ultimamente di complessi di inferiorità, nonostante i suoi eroi non abbiano in realtà nulla da invidiare a quelli Marvel, risultando anzi, specie Superman e Batman, universalmente forse ancor più noti dei più conosciuti eroi della rivale.
Ma, a parte Batman, adottato da almeno due registi d'eccezione nell'ultimo trentennio, Superman non ha mai avuto, a parte il poker anni '70/'80 di Cristopher Reeve, il successo planetario a cui aspiravano produttori ed i registi che vi si sono dedicati.
Lo stesso recente Batman Vs. Superman, pur un successo commerciale notevole, non ha superato certe vette auspicabili dai guru del budget, né tantomeno eguagliato gli incassi di Avengers, Capitan America e colleghi/rivali.
Pertanto questo Suicide Squad risulta come una prova del nove per la Warner, e per il futuro dei D.C. Comics al cinema.
L'idea di raggruppare una feccia di cattivi, dal look interessante, dalla personalità ancor più sfaccettata, di certo rispetto a quella di un eroe senza macchia ma un pò piatto (Superman manca di spessore inevitabilmente... soprattutto se paragonato a Batman) e confrontarli con una minaccia ancora più pericolosa di loro, risulta una idea sulla carta vincente, oltre che forte di una esperienza maturata negli anni sulla carta stampata.
Detto fatto: ecco che per sconfiggere una potenza malefica nemmeno troppo ben precisata, una tosta agente segreta (Viola Davis, ottima anche in ruoli così impersonali) si vede costretta, morto e sepolto Superman, ed impegnatissimo e quasi stressato Batman, a radunare una decina di pericolosi super criminali, promettendo loro significativi sconti di pena ed agevolazioni se riusciranno a portare a termine una missione che si annuncia già in partenza molto impegnativa, se non impossibile.
Ecco allora sfilare, tra i più pittoreschi: Deadshot (Will Smith), killer infallibile con all'attivo una lista di oltre 4000 giustiziati, ma anche e nel contempo padre affettuoso e amorevole, desideroso di ritrovarsi più ufficialmente e costantemente nel ruolo di genitore perbene ("ma per favore!!!!??...ad un certo punto papino spiega alla figlia il concetto di ipotenusa, adattandolo alla situazione di killer mentre tira al bersaglio....no comment...); Harley Quinn (Margot Robbie), ex psicologa del manicomio di Gotham City, avvenente ma completamente folle dopo che è passata dalla parte dei cattivi, come prezzo per aver ceduto alle lusinghe del mellifluo e diabolico Joker (Jared Leto); e poi ancora Chato Santana (Jay Hernandez) Capitan Boomerang (Jai Courtney), il mostruoso rettile Killer Croc, l'orientale Katana ed altri ancora: tutti matti, cattivi, folli, ma nemmeno troppo, quando si tratta di contrattare condizioni più favorevoli ad un loro futuro tra le sbarre apparentemente infinito, considerato i crimini commessi.
David Ayer, regista in auge, ma che non stimo in alcun modo, e di cui ho apprezzato solo ed in parte il recente war-movie Fury, si prende un po’ di tempo, come è doveroso, a presentarci tutti i vari strambi e diabolici personaggi, che insieme formano una fauna variopinta e micidiale, cocktail coloratissimo dagli effetti potentissimi e spesso incontrollati, da cui le forze del bene voglio trarre profitto per salvare il mondo da una minaccia incontrollabile.
Quale sia concretamente il pericolo di cui sopra, il film non si cura nemmeno molto di raccontarcelo, impegnato com’è a riempire lo schermo di ectoplasmi fumosi che ci inducono ad un certo punto a pensare di aver sbagliato sala e di ritrovarci a vedere il nuovo Ghostbuster.
Certo il film è confezionato con gran cura (per forza, con quello che sarà costato!!), arricchito e incartato come un pacco regalo e forte di una colonna sonora davvero incalzante in cui spicca, tra gli altri, il cult Bohemian Rhapsody dei Queen opportunamente arrangiato e adattato. E ancora effluvio di effetti, ogni inquadratura studiatissima, ma anche schematica e finta, in una mega produzione che non lesina alcuno sfoggio di trucchi visivi nel tentativo di lasciarci qualcosa.
Purtroppo però il film, al pari e forse sin più di quanto è successo (per quel che ne penso io) nei due Avengers, non regala mai alcun momento di genuina partecipazione: non che si pretenda un’emozione, ma suvvia, un sobbalzo, un cenno di complice partecipazione ad una storia che non concede mai, e poi mai, un momento di autentico pathos.
E allora cosa rimane? Una stanca carrellata di star un pò ridicole, così vestite come fosse Carnevale.
Tra queste, come era evidente, Jared Leto, nei panni, irrinunciabili per un attore di razza, ma anche rischiosi e scaramanticamente poco favorevoli, considerati i precedenti attori che lo hanno preceduto (una star assoluta del firmamento, Nicholson e una che lo sarebbe divenuta non fosse morta anzitempo, Ledger), ruba la scena all’altro divo Will Smith, pur con una particina che si consuma in poche fugaci e variopinte apparizioni sopra le righe e manieratissime.
Ma Jared Leto è un divo insolito e curioso, che agisce e giostra la sua carriera “in sottrazione”: appare in pochissimi film, che centellina evidentemente con prudenza e meticolosità quasi quanto Montgomery Clift (dovrebbe essere onorato del paragone eccellente); forte di un Oscar certamente meritato, si concede al cinema sempre più raramente (forse sarà più attratto dal mondo della musica, dal quale proviene, al pari di Cher), spesso in ruoli di contorno, restando tuttavia un divo assoluto.
Un divo che predilige i ruoli di contorno, le parti da guest star, e che comunque, nelle rare volte in cui appare protagonista assoluto (lo splendido Mr. Nobody su tutti), risulta in grado di consolidare la sua figura di star anche se il film, pur ottimo qualitativamente, si rivela un fiasco al botteghino: ma un insuccesso tale da rendere l’opera un cult, rivalutato e rivalutabile nel tempo.
Singolare davvero questo comportamento, e comunque astuto e vincente, visto il seguito di cui gode l’attore, considerato il richiamo che il suo ruolo esercita sulla pellicola (si parla solo di lui in pratica).
Di fatto Leto è bravo ed incisivo come sempre, ma la sua piccola eccentrica parte, tutta moine come si conviene, non è sufficiente a regalare le emozioni che si sarebbero pretese e di cui accennavamo la latitanza poco sopra.
Suicide Squad diviene dunque un ulteriore esempio della vacuità della Hollywood che pensa solo a fare soldi senza riuscire a regalarci storie in cui credere o dalle quali riuscire a farsi catturare.
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