Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film
Quarto capitolo con Checco Zalone protagonista. Clamoroso successo al botteghino per un film minore rispetto ai precedenti, con più parolacce e banalità e meno colpi di genio. Si ride con moderazione.
L’italiano Checco Zalone è bloccato nell’Africa nera, dove è costretto a raccontare la sua vita ad uno sciamano che lo giudicherà per capire se è degno di continuare a vivere o deve essere arso vivo. Comincia la storia della vita di Checco che racconterà i suoi vizi e le sue virtù, che poi sono quelli dell’italiano medio.
La quarta fatica di Checco Zalone, diretto dal fido Gennaro Nunziante, è un film meno divertente di quanto ci si attendeva, ma anche strutturalmente più maturo. Si ride, ma non di gusto come in passato. Colpa di uno stile che comincia a diventare prevedibile, monocorde, a volta addirittura scontato. È il destino comune a molti fenomeni italiani (Aldo, Giovanni e Giacomo, Leonardo Pieraccioni), che finiscono le proprie munizioni in 3 o 4 pellicole, finendo per vivacchiare in un futuro (artistico) fatto di stenti e di flop.
Uno dei motivi sta certamente nel fatto che il tema, l’unico, dell’italiano pieno di vizi e abituato alle vacche grasse democristiane è già stato cavalcato, se non addirittura spremuto in profondità. Tema che però, almeno stavolta, viene sciorinato con dovizia (si prova almeno a spiegare un minimo perché nepotismo, maleducazione e furberie siano entrate nel nostro DNA), in particolare con la canzone che di fatto chiude il film, in stile Celentano, che mette in musica i concetti già espressi a lungo, fin dalle prime sequenze.
Una maturità che tuttavia è anche artistica. In qualche modo infatti si dirime l’atavico dubbio: Zalone, sulle magagne italiane, ci marcia oppure le avversa? Le scene in cui rivendica l’orgoglio italiano, ridimensionando la cialtroneria alla sfera del personaggio e non più all’antropologia, parlano chiaro. L’autore pugliese non asseconda ma avversa le pessime abitudini del nostro popolo, canzonandole e respingendole.
Da registrare l’aumento di volgarità, quasi assenti negli esordi del comico pugliese, e di qualche banalità di troppo (una su tutte il cognome del Ministro: Magnu!).
Rimane infine un altro dubbio, ancor più profondo e forse inestricabile: perché questo film ha incassato tanto? A cosa sono dovuti parcheggi zeppi, ingorghi infiniti attorno alle multisale, lunghe file al botteghino e sale strapiene? Forse identificazione, per qualcuno. Voglia d’evasione, per molti altri. Battage pubblicitario martellante e strategico, per qualcun altro ancora. Certo è che i numeri registrati al box office e le numerose scene da isterismo di massa registrate ad ogni latitudine non sono giustificate da un appropriato valore intrinseco della pellicola, che appare poco più che mediocre.
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