Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film
Zalone si ripropone e dà al pubblico la formula magica (e furba) che garantisce ed accresce un successo considerato già difficile, se non impossibile, da superare. Parte da spunti attuali, calibra meglio il tiro rispetto all'opera precedente, dando prova di un miglior dinamismo e di ritmi comici decisamente più azzeccati, ma il film resta fragile.
Scrivere qualcosa su Zalone ed il suo ultimo film dovrebbe risultare più semplice rispetto a molte altre occasioni cinematografiche in cui, per complessità di trama, di svolgimento narrativo, di riferimenti e rimandi, letterari o meno, si è costretti spesso ad andare ben oltre le proprie conoscenze, indotti ad approfondire particolari e fattispecie non proprio alla portata quotidiana o necessariamente legati alle proprie esperienze quotidiane.
Qui invece, la linearità studiata e calcolata della vicenda, la semplificazione delle situazioni, la ricerca astutamente riuscita di piacere ed accontentare un pò tutti, partendo da un appiglio narrativo in cui ognuno, direttamente o per rimando, è o è stato in grado di potercisi confrontare (il tema decisamente attuale e serio del cosiddetto “posto fisso” in un'epoca in cui il lavoro è un'opportunità sempre più preziosa e rara, ma invero declassato, deriso e denigrato in ere e (mal)governi di un passato politico piuttosto recente, e poi rivalutato e anelato nuovamente proprio in questi mesi di recessione economica senza fine), permetterebbe di potersi esprimere liberamente e senza particolari indugi.
Non fosse che ad esprimere il proprio parere nel modo più sincero e incondizionato, assolutista o disfattista che sia, su questo film probabilmente destinato a rivoluzionare e a superare ogni record di incasso raggiunto sino ad ora, si rischia di sbagliare comunque: di venir criticati o tacciati di esser rei di qualche impropria valutazione, cosa peraltro anche possibile ed eventuale per tutti, intenditori o meno, cinefili o spettatori per puro divertimento, quando si giudica qualcosa o qualcuno. Ma in questo caso colpevoli comunque di un atteggiamento malizioso o tendenzioso, da qualsiasi parte ci si schieri: chi stronca è tacciato di snobismo e additato addirittura come invidioso (di chi? di Zalone? ma in che senso? Siamo mica i produttori/attori/registi dei tre cinepanettoni che assieme hanno incassato nelle feste quanto ha raggranellato Zalone in due soli giorni?) Chi assolve viceversa è reo, senza possibilità di appello, di pressapochismo e di superficialità: magari accusato da chi il film lo ha solo percepito, annusato, e manco visto per un istinto preventivo che sta a metà strada tra la presunzione e la pura prudenza precauzionale.
C'è stato anche addirittura chi ha criticato, già da ben prima che il film uscisse in sala, tutti coloro che sapeva avrebbero a loro volta criticato e si sarebbero scagliati contro il comico, ancora prima di vederlo all'opera: attuando in tal modo una forma perversa di prevenzione della prevenzione.
Di fronte a questo mare di parole e di follia senza contegno, di isterismo collettivo e di inutile perdita di tempo, chi ne risulta vincitore è sempre e comunque solo Zalone, che ha l'innegabile pregio - davvero poco comune, basti pensare a quanti altri comici di estrazione televisiva come lui hanno provato, con risultati mediocri o comunque insoddisfacenti o non certo paragonabili ai suoi, a lanciarsi nel mondo cinematografico, sfidando linguaggi e tempi completamente differenti ai rispettivi ambiti televisivi - di farsi apprezzare e di piacere a masse oceaniche di pubblico indistinto.
E Quo vado?, esile e disarmante sin dal suo fragile incipit in mezzo alla savana e dinanzi ad una tribù che sembra fuoriuscita da un variopinto e kitch spot di caramelle, riesce tuttavia, man mano che la storiella procede veloce e leggera (dunque anche inconsistente) come una piuma, a trovare qualche scappatoia per farci fare qualche risata, a divertirci almeno a tratti.
Se poi il comico, simpaticamente indolente, ma anche così scaltramente consapevole della limitatezza della sua impronta per tutto il tempo di un lungometraggio, riesce a coadiuvarsi di attori "veri" come la splendida Sonia Bergamasco (da tempo immemore e non sospetto la considero come la mia attrice italiana preferita, e mi piacerebbe vederla di più al cinema, magari in ruoli da protagonista che le si addicono più che a diverse altre concorrenti coetanee anche più note, qui nei panni di una fantastica Crudelia Demon senza bisogno di dalmata al seguito) e l'ottimo Ninni Bruschetta, oltre che di due comici di razza come Maurizio Micheli e Lino Banfi (davvero simpatico, lui), e a lasciare spazio alla freschezza di una nuova stimolante scoperta rappresentata da Eleonora Giovanardi e dal suo sorriso dirompente, ecco che, ben più che nel piattissimo e noioso Sole a catinelle, di questo Quo vado? riusciamo a digerire persino le ambientazioni studiatissime, sia italiche che nord europee (sono le trasferte "impossibili" e stroncanti che il nostro Checco accetta pur di mantenere il tanto ambito "posto fisso") di cui si incornicia astutamente il quadretto, le predicozze sulla fondamentale bonarietà della nostra latente italica maleducazione e tendenza maldestra ad approfittarci della cortesia altrui per trarne indebiti profitti, nonché ridere e divertirci con le facili gag studiate a pennello per parlarci della famiglia allargata e suoi esilaranti buffi accorgimenti per vivere tutti felici e contenti.
Non si può quindi, volendo tirare le somme di questo spropositato successo (ammettiamolo, è davvero sconsolante pensare a quanta gente andrà al cinema nel 2016 solo una volta – e questo può certo anche starci, per carità – ma solo per vedere questo film, ma nello stesso tempo concediamo al comico l'onore della vittoria, come un premio alla capacità, per nulla scontata, e dunque meritata, di farsi apprezzare unanimemente, che poi è il dono che ripaga nell'intimo l'artista ancora più della valanga di incassi), definire Quo Vado? come una riuscita smaccata; certi ammiccamenti grossolani di facile presa (le pugnette all'orso o all'elefante sono davvero piuttosto becere, così come il ricorso agli animaletti in stile Disney risulta del tutto superficiale e ruffiano) sarebbe stato opportuno poterli tralasciare, ma certo i tempi comici, i ritmi narrativi, per quanto scontati e ampiamente tracciati su binari ben noti e stravisti, appaiono decisamente più convincenti ed accettabili se si ritorna con la mente alla precedente, deludentissima avventura milionaria del nostro astutissimo Checco.
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