Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
https://www.youtube.com/watch?v=ImJz24FT9nM
A parte er fatto che il mio tasso de sopportazione der romanesco va dai 2 ai massimo 4 minuti, mentre ‘sto film ne propina quasi ininterrottamente (fortuna vuole che er nostro eroe non è molto loquace) quasi 120.
Appunto, a parte ciò (il che, invero, non è che sia così irrilevante dal momento che metà dei dialoghi si perdono in biascichii inintelligibili) Lo chiamavano Jeeg Robot si distingue per ben altro.
Un urban-fantasy… italiano – quale ossimoro cinematografico – dove l’elemento fantastico affonda le radici nell’esperienza cartoonesca nipponica di 40 anni fa (sic!!) e “fiorisce” a Tor Bella Monca (ovvero - mi dicono le cronache dunque senza offesa per alcuno – uno dei diversi buchi culo di quartiere romani, buono per degrado e disincanti) non si era (in questi termini) mai visto; mai; è questa è certamente una delle note positive del film. E dove, eppure (a rincarare la dose di positività), echi di brutale attualità (rivista ma neanche troppo) rimbombano in lontananza (l’Urbe detona sotto una nuova terribile strategia della tensione che condiziona la vita politica e sociale delle persone, riponendo nella speculazione edilizia le proprie fameliche speranze); un legame coi nostri giorni che, peraltro (ulteriore ingrediente che dà gusto), viene rinsaldato dal ruolo ritagliato per i nuovi mezzi di comunicazione di massa di questo III millennio (i socials e simili); i migliori amplificatori possibile di ogni bene, come di ogni male (ciò che vale per qualunque medium esistente).
Una creazione originale, dunque, unica nel suo genere, frutto di contaminazioni e ricca di accostamenti inusuali, audaci, azzardati… a sprazzi pure buffi (il mozzo “Sperma” strappa un sorriso ma è il viado “Marcellone” a fare il botto…); una creazione, peraltro, curata, a livello registico, con grande attenzione (si coglie l’ansia di chi ha l’occasione della vita fra le mani e non se la vuole lasciar scappare) che assurge quasi a prodotto autoriale.
E qui finiamo con le note positive.
Perchè all’originalità della storia, alla tecnica ed alla maestria della mano nella direzione e nella messinscena (elementi nient’affatto trascurabili) fa da contrappunto… proprio la storia in sé.
Un “cifra” strampalata, straniante, eccessiva, disturbante; parole che vorrebbero essere macigni e che, nondimeno, ancora non rendono l’idea.
D’altronde molto potrebbe essere spiegato con la psicosi in stadio avanzato che affligge 2 dei personaggi principali del film; la protagonista femminile (brava a fare la sexy picchiatella dal passato triste) e l’antagonista (ben calato nella sua parte da Psycho-Joker de noialtri); la follia istrionica e sensazionalista come il connubio malato fra disinibizione e scompensi psichiatrici.
Altro invece, lo spiegano le scelte fatte nell’invenzione degli eventi e nel loro sviluppo (da accettare complicemente quale prezzo salato da pagare per la sperimentalità del film). Scelte che spingono per prendere le distanze e per ridimensionare la spendibilità del film.
Chiaramente non adatto a tutti i palati.
E neanche – per tornare da dove avevo cominciato - a tutte le orecchie (per via del gergo borgataro stretto, appunto).
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