Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
Lo chiamavano Jeeg Robot (2015): Ilenia Pastorelli
Rielaborare un supereroe a uso e consumo metropolitano è sempre un azzardo sovrumano.
Il contestoe i caratteri che Mainetti ritaglia per la propria opera prima invece, sono studiati con estrema cura, disegnati in maniera congeniale adagiando su un feroce telaio di criminalità comune, una copertina di estrema sensibilità, che spulcia e sfrutta indole e umori delle sfaccettate personalità protagoniste, a partire da un Santamaria cupo e misantropo che dona al suo jeeg di periferia tratti da mIstery fragile e imbarazzato, una fascinosa e tenera Ilenia Pastorelli nel ruolo della disagiata sognatrice che offre, da coprotagonista, linfa vitale alla storia filmica, il cattivo di turno, narcisista molesto e maniacale Luca Marinelli, con l'amuchina da borsetta, gestisce un costante, schizzatissimo sopra le righe, perfettamente cucito sul personaggio dell'esaltato cronico.
Tre personaggi che si arrotolano tra loro e una città di sottoeroi che ne decreta passato e futuro, una Roma da salvare, ghettizzata e delinquente, affogata di scorie, sogni malati e dormitori.
Una favola uscita dal delirio che vaga disordinata tra tutte le storture dell'emarginazione e del degrado tipiche di una periferia romana e, sfruttandone debolezze, vizi, contraddizioni e sentimenti feriti e mai curati, confeziona un sogno gualcito come un vestito da principessa o come una maschera da eroico cartoon da indossare quando tutto è perduto.
Lo chiamavano Jeeg Robot (2015): Claudio Santamaria
Il nostro supereroe di periferia è un disadattato cronico senza amore e senza amici.. ma la sensibilità gliela scardinano proprio questi poteri inaspettati e subito sfruttati, ovviamente, per fare cassa.
Ma sarà l'incontro con la fragilità di questo personaggio femminile permeato di candida ingenuità a decretare la svolta, l'unica persona che penetra la corazza di Enzo, l'unica che riesce a giudicare compatibile la sua nuova identità con la sua unica e possibile missione: “salvare la gente”.
Questa la chiave di lettura più plausibile e che mi piace individuare, non l'uomo che assurge a supereroe, ma questa etica da supereroe che viene a sporcarsi di bassa umanità, ispirando nuova dignità e sentimenti.
E persiste costante un fattore di tenerezza estrema a rendere confidenziale questo clima di vita borderline, pur nell'esaltazione violenta, dove la poesia si lascia comunque individuare e accarezzare con immagini spesso contrastanti, tra uno yogurt e un camerino, fino a indossare fantastici epiloghi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta