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Lo chiamavano Jeeg Robot

Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film

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La recensione su Lo chiamavano Jeeg Robot

di pazuzu
8 stelle

 

Enzo Ceccotti non ha amici. Lo ripete come un mantra, come fosse un punto d'orgoglio.

Enzo Ceccotti non ha donne, ma una mole impressionante di film porno.

Enzo Ceccotti è abitudinario: ruba, passa all'incasso, riempie il frigo di budino, e campa.

Ma un indesiderato tuffo nel biondo Tevere, seguito dall'impatto con un bidone ripieno di chissà cosa, arriva ad interrompere per sempre la sua monotona routine da ladruncolo solitario: uscito dall'acqua immutato nell'aspetto, scopre di lì a poco, con sgomento, di esser diventato immune alle pallottole e ai voli dal nono piano, e soprattutto dotato di una forza sovrumana. Accolto l'inspiegabile incidente come una benedizione, inizia ad applicarlo 'sul lavoro' con risultati eclatanti, guadagnandosi però l'invidia dello 'Zingaro', un piccolo boss locale megalomane e violento. Nel frattempo, si ritrova corteggiato da Alessia, la figlia del vicino di casa appena morto, una ragazza dolce ma sciroccata, che dopo la perdita della madre è andata fuori di testa convincendosi di vivere nel mondo di Jeeg robot d'acciaio: e che, dopo aver visto esibita la sua forza bruta, riconosce in lui proprio Hiroshi Shiba.

 

 

Ebbene, anche l'Italia ha un film superoistico con tutti i crismi. Lo chiamavano Jeeg Robot è l'esordio sulla lunga distanza di Gabriele Mainetti, che già si era fatto notare per una manciata di cortometraggi che trasudavano il suo amore per il genere e trasmettevano il suo senso dell'umorismo macabro: caratteristiche che si ritrovano qui, accompagnate da una storia ben congegnata e personaggi definiti con cura e recitati da un cast complice e divertito, con un ottimo Claudio Santamaria nel ruolo di Enzo/Hiroshi, ingrassato venti chili per dar peso alla potenza del suo supereroe, ed un impressionante Luca Marinelli a donare il suo sguardo spiritato ad un antagonista cattivissimo e pazzo, capace di spaccare la testa di un uomo a colpi di iPhone e poco dopo agghindarsi con lustrini e paillettes per salire su un palco e cantare Anna Oxa.

 

 

Citazionista e pieno zeppo di episodi esilaranti (una su tutte la scena del dito mozzato), Lo chiamavano Jeeg Robot scorre a un ritmo travolgente, percorrendo lunghi tratti consapevolmente sopra le righe proprio per favorire la sospensione dell'incredulità, mescolando il mescolabile e passando con assoluta naturalezza dall'azione alla fantascienza, alla commedia nera in salsa splatter, senza dimenticare qualche spruzzata di romanticismo.

Romano fino al midollo, per l'inflessione fortemente dialettale esibita dagli attori e per il ruolo da protagonista che la città stessa assume, una città cupa e sporca esposta nel degrado della periferia, Lo chiamavano Jeeg Robot non si chiude nel particolarismo o nella macchietta, ma mostra il respiro ampio di un cinema sanguigno e strutturato, e ha tutte le carte in regola per sfondare, e sul serio, a livello nazionale.

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