Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
Enzo Ceccotti non ha amici. Lo ripete come un mantra, come fosse un punto d'orgoglio.
Enzo Ceccotti non ha donne, ma una mole impressionante di film porno.
Enzo Ceccotti è abitudinario: ruba, passa all'incasso, riempie il frigo di budino, e campa.
Ma un indesiderato tuffo nel biondo Tevere, seguito dall'impatto con un bidone ripieno di chissà cosa, arriva ad interrompere per sempre la sua monotona routine da ladruncolo solitario: uscito dall'acqua immutato nell'aspetto, scopre di lì a poco, con sgomento, di esser diventato immune alle pallottole e ai voli dal nono piano, e soprattutto dotato di una forza sovrumana. Accolto l'inspiegabile incidente come una benedizione, inizia ad applicarlo 'sul lavoro' con risultati eclatanti, guadagnandosi però l'invidia dello 'Zingaro', un piccolo boss locale megalomane e violento. Nel frattempo, si ritrova corteggiato da Alessia, la figlia del vicino di casa appena morto, una ragazza dolce ma sciroccata, che dopo la perdita della madre è andata fuori di testa convincendosi di vivere nel mondo di Jeeg robot d'acciaio: e che, dopo aver visto esibita la sua forza bruta, riconosce in lui proprio Hiroshi Shiba.
Ebbene, anche l'Italia ha un film superoistico con tutti i crismi. Lo chiamavano Jeeg Robot è l'esordio sulla lunga distanza di Gabriele Mainetti, che già si era fatto notare per una manciata di cortometraggi che trasudavano il suo amore per il genere e trasmettevano il suo senso dell'umorismo macabro: caratteristiche che si ritrovano qui, accompagnate da una storia ben congegnata e personaggi definiti con cura e recitati da un cast complice e divertito, con un ottimo Claudio Santamaria nel ruolo di Enzo/Hiroshi, ingrassato venti chili per dar peso alla potenza del suo supereroe, ed un impressionante Luca Marinelli a donare il suo sguardo spiritato ad un antagonista cattivissimo e pazzo, capace di spaccare la testa di un uomo a colpi di iPhone e poco dopo agghindarsi con lustrini e paillettes per salire su un palco e cantare Anna Oxa.
Citazionista e pieno zeppo di episodi esilaranti (una su tutte la scena del dito mozzato), Lo chiamavano Jeeg Robot scorre a un ritmo travolgente, percorrendo lunghi tratti consapevolmente sopra le righe proprio per favorire la sospensione dell'incredulità, mescolando il mescolabile e passando con assoluta naturalezza dall'azione alla fantascienza, alla commedia nera in salsa splatter, senza dimenticare qualche spruzzata di romanticismo.
Romano fino al midollo, per l'inflessione fortemente dialettale esibita dagli attori e per il ruolo da protagonista che la città stessa assume, una città cupa e sporca esposta nel degrado della periferia, Lo chiamavano Jeeg Robot non si chiude nel particolarismo o nella macchietta, ma mostra il respiro ampio di un cinema sanguigno e strutturato, e ha tutte le carte in regola per sfondare, e sul serio, a livello nazionale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta