Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Difficilissimo per me l'approccio alla discussione di un film che posso percepire solo in chiave assai intima e profonda, come una narrazione da condividere solo con le persone piu' care. E faccio fatica inoltre ad immaginare come dev'esser stato per Gramellini stesso raccontarsi scavando a mani nude nell'intimo di se' stesso e dei suoi pensieri piu' segreti. Confesso di non avere mai amato granchè Gramellini, forse anche perchè non essendo mai stato un lettore della "Stampa" lo conosco pochissimo e dunque non mi aspettavo una narrazione di tale intensità. Il film dire che mi è piaciuto sarebbe un eufemismo, in realtà ne sono stato come pietrificato, perchè all'intimissimo percorso interiore di crescita del protagonista si è affiancato un MIO percorso di consapevolezza. Non volevo (e non voglio) qui condividere la mia vicenda personale di uomo ma non posso tacere sul fatto che per alcuni versi il raccobto di Gramellini coincide in modo quasi inquietante con il mio. Anch'io persi mia madre quando lei ed io avevamo le medesime età anagrafiche dei personaggi del film. E lei inoltre morì dello stesso male. E perfino mio padre presentava qualche aspetto in comune. E -mi emoziona tantissimo dirlo a me stesso- la solare giovinezza mista a qualche ombra della madre del film mi ricoirda esattamente la mia belissima mamma. Ma lasciamo perdere le mie memorie personali che non interessano nessuno, e torniamo alla delicata bellezza del film. Dopo i magnifici "Vincere" e "Buongiorno Notte" torna il Nuovo Bellocchio, gigantesco nella sua Idea di Cinema Moderno ma Antico. Un cinema che non cede a compromessi mai. E che ne consacra i caratteri di coerenza e rigore. Un campione indiscusso della nostra cinematografia . Siamo a Torino, anno 1969, il piccolo Massimo di nove anni perde la madre con la quale viveva un rapporto di inimmaginabile complicità. Dolore suo e del padre, entrambi dignitosamente affranti e straziati ma Massimo con qualcosa dentro che lo segnerà per tutto il resto della sua vita. Lui non si capacita di come sua Mamma che per lui rappresentava l'Assoluto lo abbia abbandonato così, senza salutarlo o avvisarlo. E questi suoi tormenti di bambino si trasfoirmeranno negli anni in cui si affaccerà alla vita adulta in un mcigno insopportabile che lo condizionerà in tutto, dal suo lavoro di giornalista ai suoi rapporti con le donne. Quello che si può definire un gigantesco conflitto irrisolto. Ma alla fine del film arriverà la soluzione, quando si chiarirà la tragica dinamica reale delle circostanze di quella morte. Un film dove gli sguardi contano piu' delle parole e Bellocchio infatti può fare affidamento su una serie di ottimi attori non tutti conosciuti ma comunque ciascuno bravissimo (in rappesentanza d tutti citerò solo Guido Caprino nel ruolo del padre). Poi un paio di special guest femminili internazionali utilizzate in maniera sublime (Berenice Bejo ed Emmanuielle Devos), E in quanto a fascino femminile irresistibile, a primeggiare è la meravigliosa Miriam Leone (è il suo momento dopo la partecipazione da co-protagonista nel secondo film di Pif). Poi due altre star in ruoli brevi ma memorabili, i mostruosi Roberto Herlitzka e Fabrizio Gifuni. E che dire di Valerio Mastandrea splendido protagonista? Che è l'interprete ideale nel ruolo trattenuto e dolente di un uomo piegato dal dubbio. Nei ricordi di bambino del piccolo Massimo incombe minacciosa (me ne stavo dimenticando)la figura inquietante di Belfagor, (immagine che ha turbato l'infanzia di una intera generazione). Uno di quei film che fanno onore al cinema italiano.
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