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La pazza gioia

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su La pazza gioia

di Springwind
5 stelle

Titolo fortemente sarcastico per un film dove non c'è gioia e la pazzia è un pretesto: nella prima parte, per provocare il sorriso (e in alcuni spettatori anche la risata) e nella seconda per muovere al pianto. Manca l'indignazione: ma un film sulla malattia mentiale che non provochi indignazione non può dirsi riuscito.

Mi hanno sempre infastidita i film dove si ride sui matti; mi fanno addirittura arrabbiare quelli che dalla risata sui comportamenti delle persone che hanno problemi mentali passano alla lacrima (facile), al melodramma. La pazza gioia appartiene a questa seconda categoria: è un film furbo (come tutti i film di Virzì, del resto) che unisce Thelma e Louise a Qualcuno volò sul nido del cuculo in una commedia all'italiana (che poi si fa mélo nella seconda parte). Fatto apposta per soddisfare il maggior numero di pubblici: quello femminile, in primis, ma anche quello progressista (o che si crede tale) , interessato al problema dei manicomi e della salute mentale; e poi chi al cinema cerca il sorriso e chi vuole la lacrimuccia: ce n'è per tutti. Magari, ce n'è un po' meno, per chi guarda le cose un po' più in profondità: chi ha amato Thelma e Louise non vede la necessità di certe scene che ne sono un autentico doppione, virato al folle; chi ricorda Family Life di Ken Loach o Diario di una schizofrenica di Nelo Risi non può che storcere il naso di fronte a questo uso cinematografico della malattia mentale. Certo, ci sono due notevoli prove d'attrici (soprattutto la Bruni Tedeschi è perfetta nel ruolo), e ci sono momenti gradevoli; si sorride, anche. Ma se invece di indulgere al melodrammone sul finale si fosse dato più spazio a personaggi appena accennati come quello di Marco Messeri, per esempio, il film ne avrebbe guadagnato in credibilità. Ma si sa: il bambino strappato alla madre fa audience; il tentativo di suicidio di una madre disperata suscita la catarsi liberatoria nel pubblico medio, che può uscire dal cinema con l'occhio ancora umido, dopo aver riso di quella stessa madre per tutta la prima parte: tanto, basterà svoltare svoltare l'angolo e la sua storia, la sua malattia, saranno dimenticate. 

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