Regia di Kenneth Lonergan vedi scheda film
Manchester by the sea è molto semplicemente uno dei film più tristi e disperati che abbia visto da diversi anni a questa parte ma - attenzione - anche se è un dramma, delicato e anche pudico nel gestire eventi e sentimenti, non presenta affatto certe determinate caratteristiche, ansiogene o lacrimevoli, tipiche invece di un melodramma, ovvero manca completamente di un confronto liberatorio o di una qualsiasi catarsi finale che porti, in qualche modo, ad una risoluzione, intimistica o meno che sia.
E infatti la parte più interesante ed originale della pellicola si trova da tutt'altra parte: nella grigia ambientazione della storia, nel racconto sommesso e nell'intimità dei testi, nell'accorta e sofferta recitazione dei suoi interpreti.
C'è una metafora nel film che potrebbe spiegare, in estrema sintesi, il senso della pellicola: il cadavere di un uomo che viene conservato in una cella frigorifera in attesa della primavera e del disgelo per poterlo finalmente sepellire.
Situazione in realtà non dissimile da quella del protagonista, con un cuore distrutto dal dolore e dal lutto e in attesa che il tempo lenisca le ferite per riuscire finamente a tornare a vivere.
Cosa non semplicissima e non è detto che basti lasciar passare del tempo perchè questo succeda.
La scrittura dell'opera, che è anche la sua parte più originale, è fondamentale e non punta alla costruzione di momenti ad effetto o al virtuosismo registico, tutta la struttura procede invece su un uso sistematico dei flashback, in un costante andirivieni tra il presente e il passato del protagonista, lampi improvvisi di memoria soggettiva, spesso slegate dalle strette esigenze del racconto ma che seguono invece una dinamica interiore e più personale e che serve, a suo modo, a raccontare il blocco emotivo di Lee, quell'impossibilità di vivere il presente in quanto ossessionato dai lutti del passato, e che costringe il racconto a dispiegarsi in modo differente, ad adottare un diverso respiro.
In questo "cuore in inverno" bostoniano tutto viene spiegato, alla fine, ma senza il peso della retorica sociale e morale (o peggio ancora moraleggiante), tutto rimane in una sfera molto più intima, poco celebrativa.
Una sceneggiatura (e un film) improntata quindi sulla reticenza, sul non dire e sul non mostrare, almeno non completamente, quasi di suggerire ma il meno possibile e a cui il cast si adegua mirabilmente, lavorando di introspezione, sui piccoli gesti e sui molti momenti di silenzio, da un ottimo Casey Affleck (Oscar meritato? Mmm..forse) a una sempre bravissima, nonostante il poco minutaggio, Michelle Williams mentre invece mi è apparso piuttosto anonimo, nonostante le buonissime recensioni, il giovane Lucas Hedges, in una apologia sul dolore che strazia e commuove anche se a volte una tale introspezione potrebbe sembrare quasi un alibi per non dire niente avendo però l'aria di dire molto.
Ma forse anche questo è solo un altro problema di logistica.
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