Regia di Kenneth Lonergan vedi scheda film
Più che un ruolo adatto a Casey Affleck, fino ad oggi questo “è” il suo ruolo, la parte più difficile e più bella che gli sia mai capitata e lui l’ha saputa capitalizzare, dando il meglio di sé.
Ognuno, come si suol dire, ha la sua croce nella vita, ma quella di Lee Chandler è un po’ particolare: ha la consistenza di tre bambini ma pesa come fosse di cemento armato e di piombo. Lee la porta sulle spalle senza dare segni evidenti di fatica ed evitando accuratamente di essere aiutato per sopportare tale sforzo. È pesantissima anche se apparentemente inesistente, ma solo perché lui l’ha resa invisibile e l’ha inghiottita dentro di sé, comprimendola nel suo animo diventando una persona dall’aspetto anonimo abitato da sentimenti spenti, come fosse un uomo divenuto insensibile.
Si è defilato dal mondo e si è autorecluso, non essendo riuscito semplicemente ad autopunirsi, ad autoaffliggersi la condanna capitale. Ci aveva provato nella stazione di polizia di Manchester-by-the-sea, un piccolo comune del Massachusetts non molto lontano da Boston, ci aveva provato con la pistola sottratta ad un agente, ma era stato prontamente bloccato, dopo che aveva capito che la giustizia pur facendo il suo corso non lo avrebbe mai potuto punire solo per una banale, anche se di gravi conseguenze, leggerezza commessa in casa. Allora Lee, persa anche la moglie che gli aveva addossato la responsabilità dell’accaduto, aveva scelto una vita anonima da tuttofare presso alcuni condomini in città dove nessuno lo conosceva: uno sconosciuto, taciturno, talvolta irascibile e rissoso artigiano che si adoperava per riparare qualsiasi cosa nei palazzi affidatigli, vivendo in un sotterraneo senza alcuna pretesa di vita, proprio come le sue aspettative per il futuro. Soprattutto lontano dai ricordi insopportabili della sua bella famiglia e dalle belle giornate trascorse sulla barca dell’affezionato fratello Joe, con cui andava a pesca assieme al nipote Patrick.
Il suo passato oggi è represso in un presente asettico e attonito e tutto il dolore è compresso nell’anima e nel cuore, dove nessuno vi accede più. Gli unici barlumi di sensazioni sono racchiusi e limitati nello sguardo, nell’apatia e nell’afasia verso il mondo circostante. Non ha aspettative, dunque, né aspetta cambiamenti quando invece la svolta giunge con una telefonata foriera di cattive notizie. È come se quel terreno ormai schiacciato da anni nel suo stomaco venga all’improvviso arato e da cui vengano fuori germogli che giacevano assopiti. È come un letargo violentemente interrotto che causa reazioni e impulsi indesiderati, incubi allontanati a fatica che si riaffacciano sotto forma di relazioni e facce che erano state dimenticate nell’oblio cerebrale che sarà costretto a riaffrontare. La vita quindi gli riporta tutto a galla e gli pone delle domande critiche a cui Lee deve assolutamente rispondere e risolvere, almeno per il legame che lo univa al fratello Joe e soprattutto a suo figlio Patrick. Il che rappresenta per lui un ostacolo enorme da sormontare, una montagna impossibile da scalare: rivivere cioè quel passato da cui era scappato isolandosi. In pratica ritrovarsi nei luoghi che aveva voluto cancellare dalla sua vita e rivedere inevitabilmente la mai dimenticata moglie Randi (la solita bravissima Michelle Williams). Combattuto tra l’arduo compito lasciatogli e la tremenda voglia di tornare nel suo guscio corazzato, Lee deve trovare una soluzione migliore per tutti. La rinuncia più difficile però è un’altra e la scopriremo nella sequenza più straziante, inesorabile e meglio recitata, nella scena madre che sconquassa il petto dell’ignaro spettatore.
Non può essere diversamente il finale, non ci sarà scampo per chi si aspetta la soluzione buonista e sentimentale, non ci sarà spazio per i sentimentalismi barocchi e tradizionali. Kenneth Lonergan già nei suoi due precedenti lavori da regista non era mai stato tenero con i suoi piccoli eroi e non concede nulla alla platea neanche in questo. Lee ha deciso che si merita l’ergastolo e se non glielo ha afflitto un tribunale lo sceglie da sé. Non c’è più spazio per l’amore nella sua vita afflitta ed è così che Lee reprimendo ancora per l’ennesima volta i suoi sentimenti preferirà tornare ad aggiustare tubi e lavandini otturati, come la sua vita, che non scorre più, intasata dalla melma del passato mescolata con il dolore. Chi può restituire questa sofferenza cercata e vissuta meglio di Casey Affleck e il suo sommesso modo di recitare? Non è proprio quella sottrazione recitativa tipica del suo repertorio che emerge in questo film, piuttosto è una sottrazione comunicativa che nello stesso tempo riesce a trasmettere tutto quello che è necessario, tutto il turbinio che lo sconquassa all’interno, ma trattenendolo e elemosinandolo allo spettatore con uno sguardo sfuggente o con le poche parole che utilizza o con la ricerca della rissa da pub per scaricare la rabbia e l’adrenalina che si va accumulando. Oppure con un gesto che più esplicativo non si può della mano destra quando Randi cerca di trattenerlo: “Non posso, non posso… Non puoi capire…” Lee ha rinunciato ormai a tutto, anche alle ultime occasioni positive che gli possono capitare. Come la pallina di baseball che gli si avvicina e che lui lascia scorrere senza raccogliere…
Più che un ruolo adatto a Casey Affleck, fino ad oggi questo “è” il suo ruolo, la parte più difficile e più bella che gli sia mai capitata e lui l’ha saputa capitalizzare, dando il meglio di sé, recitando meno sommessamente di altre volte ma riuscendo ad esprimere tutto la rabbia e il dolore che si poteva esternare senza mai andare fuori giri. Superfluo è ricordare che nessun doppiaggio può rendere merito all’interpretazione di Casey che non è una semplice performance, ma è la traduzione di sentimenti difficili da esternare in suoni e gesti. I suoi silenzi, le sue smorfie mancate, i suoi sguardi sono l’essenza che lo pone tra i migliori attori di questi anni
Kenneth Lonergan ha firmato il migliore dei suoi pochi prodotti personali (a prescindere dagli altri suoi lavori di sceneggiatore), badando all’essenziale affinché nessun orpello potesse coprire e limitare il dramma da raccontare e il tumulto intimo del protagonista e di chi gli gira intorno e la scelta di quella fotografia, di quel paesaggio così malinconico e gelato, senza alcun raggio di sole che possa aprire il cuore alla benché minima speranza, e poi di quella luce grigia che domina le scene di Boston e Manchester-by-the-sea, di quel mare minaccioso invernale… tutto risulta perfettamente intonato e coerente. Lonergan non è - pur se con poche opere a carico - un regista giovane e in questo film ha dimostrato appunto la sufficiente esperienza per pilotare una storia che poteva cadere nel banale mélo e che invece ha saputo condurre fino in porto sicuro e con mestiere. Ma il film ha una firma gigantesca che si scrive Casey Affleck, artefice di una interpretazione che ha reso il film stesso come un filo spinato che gira attorno al torace stringendo per far male e far sanguinare.
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