Regia di Kenneth Lonergan vedi scheda film
Che il cinema sia in primo luogo una questione di immagini in movimento nessuno lo mette in dubbio; è così fin dal principio e cioè dal 1896 quando i fratelli Lumiere presentarono il loro "Arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat", accolto da sentimenti di meraviglia mista a paura per la caratteristiche di verosimiglianza causata dalla percezione che la locomotiva da un momento all'altro potesse uscire dallo schermo e investire gli spettatori. Lo conferma la produzione contemporanea sempre più attenta al rendimento degli aspetti formali e all'efficacia del comparto visuale. Un interesse, quest'ultimo, che ha fatto venir meno la centralità della funzione narrativa, quand'anche presente nelle forme più classiche, depauperata delle istanze di coerenza e di approfondimento che dovrebbero appartenergli. Ad equilibrare la partita almeno qui a Roma e perlomeno in queste prime due giornate della Festa del cinema ci pensano una manciata di titoli che si impongono per la qualità della scrittura e della direzione attoriale. "Manchester By the Sea", terzo lungometraggio di Kenneth Lonergan rispondeva ai requisiti appena detti, potendo contare su un regista sceneggiatore (il testo del film era stato scritto da Lonergan per Matt Damon a cui è a sua volta subentrato dopo la rinuncia della star americana) e su un attore - Casey Affleck - adatto al ruolo principale per averlo ricoperto più volte nel corso della carriera.
Con l'intento di non perdersi nulla dei propri personaggi ma anzi preoccupandosi di valorizzarne il potenziale umano e drammaturgo Lonergan colloca Lee e chi gli sta attorno all'interno di un contesto ambientale e scenografico minimale che non offre altre informazioni (come il dettaglio del mare improvvisamente increspato o un cambio improvviso di luce) che non siano riferibili ad allo stato d'animo del momento; e poi ne potenzia la presenza scenica regalandogli un palcoscenico che gli consente di essere assoluti protagonisti grazie a una tecnica di ripresa che limitando ampiezza e profondità di campo e mantenendo la mdp all' altezza del soggetto scenico impedisce allo spettatore di trovare altri motivi di interesse che non siano quelli indicati dalla volontà del regista. Un processo di sottrazione che da un canto metteva l'opera al riparo dalla retorica insita nella delicatezza dei temi trattati - il dolore, la perdita, il senso di colpa - e che dall'altro rischiava di farla risultare bloccata e priva di slanci. Ad evitare questo pericolo ci pensa soprattutto il montaggio di Jennifer Lame che altera la successione degli avvenimenti considerati non più nella loro scansione cronologica ma secondo un tempo interiore e quindi emotivo corrispondente a quello di Lee/Affleck, che di "Manchester by the Sea" sono i veri e propri factotum del copione imbastito da Lonergan. Il quale memore della lezione dei vari Risi, Germi e Monicelli realizza un melodramma struggente e appassionante che pur mantenendosi costantemente sulle note della tragedia vissuta da Chandler trova modo di alleggerire la tensione con momenti di ilarità che paradossalmente - ma non troppo - rendono ancora più credibile il calvario del protagonista. Preceduto dai rumors che lo danno tra i favoriti nella corsa ai prossimi Oscar "Manchester by the Sea" per quanto ci riguarda ha già un vincitore nella persona di Casey Affleck che abbonato ai ruoli da perdente tiene lontana la routine con un interpretazione sofferta e trattenuta che lo impone ai vertici della sua categoria.
(pubblicata su ondacinema.it)
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