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Manchester by the Sea

Regia di Kenneth Lonergan vedi scheda film

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La recensione su Manchester by the Sea

di Gangs 87
6 stelle

Lee è un uomo taciturno e solitario. Vive in un sottoscala e lavora come tuttofare per diversi complessi residenziali di Boston. La morte di Joe, il fratello maggiore, lo costringerà a tornare nella sua città natale, dove l’oscuro e doloroso passato che tormenta la sua anima, ancora lo attende. Quando Lee scoprirà che Joe gli ha lasciato la custodia di Patrick, il nipote adolescente, le cose si faranno ancora più complicate.

 

Allora, parliamone. Mi sono convinta a guardare la pellicola perché ne ho sempre sentito parlare benissimo. Uno di quei film che avevo tenuto lì e che, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, vuoi per una specie di sentore intrinseco che non saprei mettere nero su bianco, non mi sono mai sentita invogliata a mettere su la visione del film in questione. Un sabato sera in cui ero particolarmente in vena, dopo aver subito l’ennesima spinta di incoraggiamento, mi sono decisa a guardarlo. Non l’avessi mai fatto.

 

Il dramma personale messo in scena da Kenneth Lonergan, che cura anche la sceneggiatura della pellicola, é coinvolgente a tratti. Il film infatti funziona benissimo per la prima metà, quando non sappiamo cosa tormenti il protagonista e, fin quando non lo scopriamo, siamo attratti e incuriositi dalla storia che si nasconde dietro il suo malessere emozionale. Ma quando si sciolgono i nodi, tutto il resto cade in mille pezzi, segno evidente che, la struttura narrativa su cui la pellicola si basa è debole o quantomeno non bilanciata a dovere.

 

Tutta la seconda metà della durata, in cui si racconta del rapporto che si instaura tra Lee e il ribelle nipote Patrick, sulle prospettive future dei due e sull’egoismo, ma potremo chiamarlo anche amor proprio, che anima Lee incapace anzi direi più contrariato dall’idea di paternità impostagli dal fratello defunto, a cui non vuole assolutamente arrendersi, è riempita e allungata dalla ripetitività dei litigi tra i due che vengono intervallati solo dal comportamento menefreghista e adolescenziale con cui Patrick conduce la sua esistenza.

 

Il film poteva essere abbondantemente ridotto di durata, senza per forza ammorbare con la ridondanza di alcune situazioni ripetute all’infinito e senza senso alcuno. Prendiamo ad esempio la scena in cui Lee è costretto da Patrick ad interagire con la madre di una delle sue fidanzate. Esattamente che senso ha? È davvero necessaria alla narrazione? E come questa ne avrei di scene su cui poter dissentire.

 

Lo stesso Casey Affleck non convince totalmente. Per quanto sia piuttosto bravo ad interpretare quello che: sono stato provato dalla vita e per questo prendo a cazzotti tutti; alla lunga, stanca. Tanto che viene da chiedersi quanto davvero meritasse l’Oscar.

 

La pellicola funziona a tratti e la sua lunghezza induce a dimenticare anche quei momenti altamente commoventi e intimi, che vengono penalizzati dalle numerose scene inconcludenti di cui sopra. La cosa apprezzabile è che non è mai scontata. Le scelte del protagonista non sono mai incomprensibili o giudicabili ma anzi piuttosto reali. E proprio questo realismo è la cosa che più ho apprezzato di tutta la visione. Il coraggio di non romanzare la vita conducendola, per forza, verso sentieri falsamente altruisti.

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