Regia di Elia Kazan vedi scheda film
Quasi mezzo secolo divide quest’opera, permeata di umorismo corrosivo, dall’avvento globale odierno del mezzo mediatico, del suo uso distorto e demagogico, del fascismo dilagante insito nei suoi meccanismi. Ce n’è per tutti i gusti: la televendita, la pubblicità occulta, la tv del dolore, le maratone di solidarietà, l’aggressività e la volgarità quali miniere di audience, l’intreccio televisivo, la politica e, di conseguenza, l’utilizzo del piccolo schermo per far eleggere un presidente (vi suona familiare?).
Vent’anni prima di un altro appassionato (e più celebre) pamphlet contro la televisione, “Quinto potere” di Sidney Lumet, Kazan e lo sceneggiatore Budd Schulberg firmano una sarcastica, lucidissima parabola sui media e il successo, condannando a priori la figura del telepredicatore che tanta influenza, in seguito, avrebbe esercitato sull’immaginario collettivo, a sua volta facile preda di monopoli virtuali, soggiogato al punto da rendersi incapace di gesti e ragionamenti indipendenti da qualsiasi dogma o demagogia. Non per nulla, trasmesso molto di rado nei nostri palinsesti, benché, soprattutto nell’ultimo quinquennio, tutto questo sia sempre più subìto e meno compreso.
Come buona parte della successiva produzione cinematografica americana (si pensi a “Bob Roberts” di Tim Robbins), persino Celentano – da “Joan Lui” ai successi del piccolo schermo – deve qualcosa al personaggio di Lonesome Rhoades, interpretato da una futura stella televisiva, Andy Griffith (“Matlock”).
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