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Captain America: Civil War

Regia di Anthony Russo, Joe Russo vedi scheda film

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La recensione su Captain America: Civil War

di lussemburgo
8 stelle

Ha oramai una spiccata struttura serializzata la produzione cinematografica Marvel, non solo nel senso di una consecuzione consapevole di film che condividono il medesimo ambito di riferimento, ma nel strutturare un moderno universo espanso che si sviluppa di film in film e da una piattaforma all’altra: cinema, televisione, fumetti, internet) secondo un piano ponderato, ordito attentamente per rimanere coerente e spettacolare. E soprattutto, dalla moderna serialità i film dei Marvel Studios tratteggiano con attendibilità psicologica i singoli personaggi sino a renderli realistici.

Dalla serialità proviene anche una regia attenta ma non eccessivamente personale, funzionale alla narrazione e alla spettacolarizzazione degli eventi, che sa gestire con attenzione scene movimentate e dialoghi in controcampo, unificando i film senza perdere una minima ma costante ironia di fondo e una fedeltà all’essenza dei personaggi dei fumetti, colorati nei costumi e acrobatici nei combattimenti. I fratelli Russo usano quasi costantemente una macchina a mano, con un movimento quasi impercettibile nei momenti di stasi e uno stile alla Greengrass per le scene d’azione, agile ed efficace per il raccordo delle inquadrature e creare tensione visiva, ma che rende difficile la percezione della stereospopia per velocità di montaggio e eccesso di tremolio.

Rispetto al precedente capitolo legato al Capitano, Civil War soffre di una visione eccessivamente allargata ad un team-up spezzato e schierato su fronti opposti, con tanti personaggi da gestire e alcuni buchi narrativi da riempire; il problema, semmai, è nell’antagonista, Zemo (non più barone, però), non all’altezza dei suoi avversari, così enormemente bigger than life. Perché il film ripercorre le tappe di una megalomane vendetta non dissimile da quella inscenata in Spectre, con l’universo bondiano similmente sottoposto ad una vivificante serialità consapevole, ma con un cattivo relativo, Blofeld, soggiogato dalla sua stessa sete di rivalsa personale e talmente umano da diventare poco antagonistico.

Secondo la logica dei raggruppamenti supereroistici, data per scontata una incontrovertibile lealtà di fondo, lo sviluppo diventa un susseguirsi di scazzottate più o meno violente e di fazioni dalla composizione elastica con innumerevoli e repentini cambi di campo. Al di là dello schema narrativo, coerente sebbene a tratti forzato, che vede combattersi il senso di rivalsa con quello di giustizia nelle loro rispettive sfumature e interpretazioni, il film (il primo della Terza Fase del MCU) si propone come spartiacque rispetto alla produzione precedente, con il passaggio in secondo piano di Capitan America e di Iron Man, che non hanno più alcun film personale in programma, per lasciar spazio alle nuove reclute, qui presentate con dovizia di dettagli e ad un consesso di supereroi sempre più largo.

In questo senso è un film crepuscolare che, sebbene evocando solo a grandi linee l’omonimo albo Marvel che terminava addirittura con la traumatica morte di Cap, assume comunque su di sé il senso del trapasso di un eroe, la cui candida onestà mal si addice a tempi e modi moderni (anche cinematografici), che vede perdere ogni residuo legame col passato, lo Shield, l’agente Carter, il Soldato d’inverno, gli Avengers stessi, messi in dubbio dagli accordi sovranazionali e dall’ipotesi di una registrazione obbligatoria e di una irreggimentazione.

Ma il tempo è sempre stato il punto debole di Capitan America da quando se ne è trovato straniato risvegliandosi in un mondo diverso dopo decenni di ibernazione involontaria, personaggio perennemente ligio al dovere e afflitto da una malinconia sempre crescente che diventa palese e dolente nella scelta della ribellione per motivi di etica e di affetto, per una volta egoistici. E anche quando scambia un bacio con la nuova agente Carter non può che commentare che, ancora, ha scelto i tempi sbagliati.

E col tempo combatte pure il suo avversario Tony Stark, bloccato da un complesso di colpa e di inferiorità nei confronti del padre, perduto da decenni (assieme alla madre), esacerbato dal venir meno degli affetti presenti che lo portano a leggere ogni reazione avversa come un tradimento. E la sua volontà di anticipare il futuro con la tecnologia e l’intelletto lo portano, ironicamente, a ritrovarsi prigioniero della stessa rappresentazione grafica dei propri rimorsi e del passato in cui hanno avuto origine. Sono due piccati egotismi che si scontrano, candido l’uno e arrogante l’altro, ma ugualmente fieri e inflessibili, incarnati da Captain America e Iron Man e che alimentano la trama della Guerra Civile dei supereroi.

La pletora di persone superdotate, variamente alleate ai due capisquadra, trova una eco nella serie tv Marvel’s Agents of Shield nel cui episodio successivo all’uscita americana del film, commentando gli eventi del film, la fuga di Cap e gli accordi di Sokovia, si constata il proliferare di esseri sovrumani e di eventi virtualmente apocalittici che la loro sola presenza e potenza comporta. La tematica delle tragiche conseguenze delle gesta superoiche sui semplici umani è anche al centro del recente film si Snyder con Batman e Superman che, però, scegliendo l’enfasi e la retorica, fa brillare Civil War per chiarezza e linearità, per una piacevolezza di visione e intelligenza di costruzione che l’omologo DC non sfiora mai.

Tra le nuove leve c’è ovviamente Spiderman, reintrodotto azzerando i film precedenti ma senza passare per l’ennesimo reboot completo con la presentazione di Peter Parker a sei mesi dalla scoperta dei propri poteri. Giovanissimo e chiacchierone, eccitato dall’azione e desideroso di rendersi utile, il nuovo Spiderman risulta graficamente più canonico e colorato, e il suo interprete decisamente in parte, anche anagraficamente, in attesa di un film dedicato tra un anno (anche se rimane misterioso come Stark si sia accorto di lui e sia risalito alla sua identità segreta). E poi la Pantera Nera che, persa ogni evocazione ribellistica del nome evidente nei lontani Anni 60, si però adegua perfettamente al prototipo fumettistico e aspetta in Wakanda il proprio film.

Ma all’interno delle promesse future è il passato che si conclude in questa guerra civile, il passaggio di testimone di una generazione di supereroi ad un’altra all’interno di un panorama cine-fumettistico in continua espansione in cui però, forse, non troverà lo stesso posto chi già è noto e rimarrà un po’ appartato per lasciar spazio a chi deve ancora arrivare.

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