Regia di Anthony Russo, Joe Russo vedi scheda film
#TeamSticazzi.
La visione ultramanichea, al di là della facilissima, spinta, aizzata scelta (quello "anarchico" e che combatte per i valori giusti e la libertà, no?) non permette altro che uno svagato, spontaneo moto di rifiuto. Chissene. Il Cap obiettore di coscienza e l'Iron Man governativo, istituzionalizzato. Tormenti, misteri, rivelazioni, vedute e reazioni opposte, alleati/comprimari/comparse equamente divisi (per tipologia di "capacità" supereroistiche e caratteri), segreti da soap che scatenano la temutissima "civil war" (paura, eh?!). In realtà una parata circense lussuosa e speciosa. Special guest come non ci fosse un domani (e un dopodomani, e un dopo-dopodomani di programmate progressive prostatiche puntate del MCU). Ma loro due. Accidenti(ni). Perbacco. Per tutti gli sprazzi di humour marveliano che francamente non si sopporta più. Steve e Tony, una pallosa bromance che flirta col mumblecore trafilando zone d'ombra e infilando un Brühl come supercattivo (il nazistoide Zemo) animato da vendetta (#teamOriginalità). Che stanchezza (la loro, e si vede).
Accopp(i)atevi.
#TeamZiagnocca
Marisa Tomei. Ovvio: dall'annuncio del suo ingaggio come Aunt May per il nuovo reboot di Spider-Man (vabbè dai, ogni tanto ci vuole: ogni molto poco) in casa Disney-Marvel si saranno accorti del tripudio di meme e memorabili reazioni nell'internette (e ne hanno subito approfittato). Ma se po' mette'? No, una così, con quelle tette, e per quella parte ... Prima le nonne, mo' la madonna. Marisa. Infatti, il solito buontempone Tony Stark prima si stupisce che una così possa essere «la zia di qualcuno», poi, in un raro momento di cinema-verità (l'unica traccia di cinema, in effetti) la definisce la «zia gnocca». Giubilo. Peccato abbia giusto un paio di scenette, in qualità di corredo del "nuovo" uomo ragno (e già la buttano in caciara, visto come si presenta, ciarliero e "supersimpatico"). Poteva guidare, la totemica Tomei, il #TeamGnocche: al suo fianco, la labbrosa ancheggiante Scarlett Johansson (ancora difficile capacitarsi di come la sua Black Widow e quello con arco e freccette non finiscano trucidati ogni volta), la sciantosa tormentosa Elizabeth Olsen (Scarlet Witch potrebbe metterla nel sacco a tutti ma sparisce sul più bello) e la sospirosa Emily Van Camp (già apparsa in The Winter Soldier, qui svela la sua nobile parentela: meglio svelasse altro).
Santificatela.
#TeamMpf.
Mpf. Uff. Yawn. Anche a volergli bene, al film, alla specie, alla galassia disneyiana, a concedere tutte le attenuanti e giustificazioni del caso, finanche a riconoscere oltre gli effettivi meriti quel poco di buono che c'è, c'è poco da salvare: Captain America: Civil War tende tendineo al tedio. Due ore e mezzo. Decine e decine di minuti di roba e ancora roba che trascorrono e mentre lo fanno già si dimenticano (figurarsi dopo). Molto, tutto accade; e nulla succede, se non nei due-tre momenti chiave in cui - è scritto che - deve succedere qualcosa (di norma tirato, dilatato allo sfinimento). Tanto cianciare, infinito cianciare, immoto ribadire, ma lo "spessore" è quello dei balloon riempitivi di fumetti scioccherelli: caotici, verbosi, fumosi, fantasiosi nel ripetere lo stesso schema spacciandolo per nuovo (ovvero, per un nuovo tassello della imprescindibile "continuity"). Tematiche-dinamiche-sviluppi a pieno regime di (auto)replica (eroi poteri e responsabilità, loro azioni e conseguenze, strategie del terrore e del caos, ingerenze delle autorità, relazioni amicali e tradimenti, incomprensioni e bla bla bla); script tanto voluminoso quanto blaterante, fragile quando (non) serve (ad esempio come matura il definitivo scontro tra i due capifila: Zemo in antico aramaico significa "onnisciente" o "profeta"?).
Ronfoso.
#TeamRussochi?
A proposito di istituzionalizzati: i fratelli aziendalisti (toh, dirigeranno i prossimi capitoli degli Avengers). La cosa più personale e riuscita che hanno fatto (da produttori e registi di diversi episodi) è la sitcom Community (dal quale ripescano il gaio rettore: è il professore che parla con Stark al MIT). La serialità gli si addice, il linguaggio e i tempi televisivi idem. Amen. A conti fatti, il Marvel Cinematic Universe è tutta una serie tv - media, fatta bene, ineccepibilmente programmat(ic)a -, ogni film una puntata di storia già scritta; e il loro girato impersonale, l'estetica piatta, l'impianto formale pulito - e innocuo, da compitino ben eseguito - l'irreggimentazione delle componenti creative-cinematografiche tutte (basta vedere l'effetto delle sequenze action: confusionarie, estemporanee, puerilmente gioc(attol)ose, prive di epicità e credibilità alcuna, super-"light") riflettono appieno lo spirito liturgico oramai consolidato dell'imperativo "universo condiviso". Impero dell'intrattenimento seriale. E la tanto attesa, reclamizzata scena all'aereoporto con le due fazioni a darsele di santa ragione (si fa per dire ... tutti indistruttibili, pure quelli che non hanno una mazza di potere speciale: l'incancrenimento dell'incredulità sospesa nel rincretinimento) si risolve in una lunghissima esibizione carnevalesca in cui tutto è, prevedibilmente, da copione. Gente che parla, gente che straparla, gente che a un certo punto sparisce, duelli all'acqua di rose, momenti "seri" e "gustosi" intermezzi spiritosi (responsabili i due "esterni": il logorroico adolescente Spider-Man di cui sopra, e il reclutato Ant-Man), e colpi di scena, ribaltamenti, distruzioni di cose inutili, tragedie sfiorate, fughe. Un climax acclimatato nell'ottica della natura episodica, funzionale, dell'intera mastodontica struttura da romanzo d'appendice (così per l'altra scena risolutiva, lo scontro con tanto di "coup de théâtre" all'interno dell'impianto siberiano dell'Hydra). Da copione (ammuffito, stancante e stanco) pure il cameo di Stan Lee e i siparietti post titoli di coda.
Disciplinati nati.
#TeamSfracellialbotteghino.
Hanno (sempre) ragione - e già vinto - loro.
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