Regia di Maurizio Ponzi vedi scheda film
Ispirato al romanzo omonimo di Lara Cardella, il quale ebbe un certo eco a livello mediatico, “Volevo i pantaloni” non è altro che un banale racconto su una diciottenne del mezzogiorno di nome Annetta (un’atona e sconosciuta Giulia Fossà), vittima del machismo e del bigottismo della società arretrata in cui suo malgrado è costretta a “sopravvivere” subendo giornalmente i soprusi e le angherie dei parenti. Pur non avendo la possibilità di leggere la fonte d’origine, considerata l’insistenza con cui si avalla la fedeltà al libro, qualcosa lascia intuire che quest’ultimo non doveva essere un testo granché plausibile. Il registro melodrammatico è orientato ad un parossismo smaccato, strabordante, mirato ad enfatizzare inflessioni ed esplosioni di emotività: il risultato è una rappresentazione sfiancante che prende la strada dell’eccesso, ma quello che si ottiene con una regia così piatta e incapace di calibrare l’intensità espressiva dei caratteristi è solo un affresco completamente inverosimile e involontariamente comico. In effetti si poteva mettere su uno scult niente male, poiché il trash “da antologia” non manca. Alcuni frammenti sono sconcertanti (e spassosissimi): le parti bislacche dove il babbo chiede al cognato di non spargere la voce sui “facili costumi” della figlia (ottenendone solo un tradimento immediato, nonostante la parola d’onore), o quelli con la madre che rinsavisce e si scaglia veementemente verso la povera Annetta. Forzatissime anche le tracce con lo zio pedofilo e le sortite dell’amica emancipata e di famiglia agiata (la mediocre Natasha Hovey, bollata in qualità dell’adolescente all’avanguardia da cui prendere esempio; in realtà, data la propensione “nazi” nel bacchettare l'amica per i motivi più vani, non si può che appoggiare la posizione di pregiudizio dei genitori di Anna). Tra i “tocchi di genio” della conduzione di Ponzi, vanno segnalate le slavate inquadrature sulle mura di casa della protagonista: una residenza rustica alquanto accogliente, riprodotta come chissà quale tugurio (sic!). La noia poi imperversa nelle ribaltine finali, quando l'ingranaggio puntato all’esasperazione non sollazza più. Incomprensibili le presenze di Lucia Bosè e Luciano Catenacci, qui inutilmente ridicolizzati con un macchiettismo estenuante.
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