Regia di Ron Howard vedi scheda film
Dietro l'immancabile sfondo di un Italia da cartolina tutta stereotipi e ingenuità, si consuma la terza avventura cinematografica del brillante storico ed enigmista Robert Langdon. Le dinamiche dell'azione, questa volta incentrate sulla figura di Dante Alighieri, risultano improbabili ma più avvincenti e controllate delle precedenti altre storie.
Torna, per la terza volta al cinema e sempre dietro la direzione dell’affidabile Ron Howard, oltre che l’interpretazione di un Tom Hanks che regge bene ritmi ed anni che volano, il nostro moderno Indiana Jones Robert Langdon, professore di Harward specializzato in enigmi e simbologie religiose, impegnato ad affrontare un nuovo diabolico e pericolosissimo complotto che mette a rischio nuovamente le sorti dell’intero pianeta.
Questa volta il personaggio storico in sottofondo è Dante Alighieri, e l’Inferno richiamato sin sguaiatamente dal titolo, si riferisce all’atmosfera apocalittica che potrebbe crearsi sul pianeta intero nel caso che l’imminente catastrofe - che una banda di criminali folli, mossi da ideologie transumanistiche ciniche e scellerate sta tentando di provocare tramite la diffusione di un potentissimo virus della peste riprodotto in laboratorio – venga messa scelleratamente in atto.
Da Firenze, ove Langdon si risveglia in corsia d’ospedale privo di sensi e senza ricordi, inizia un’avventura a tutta velocità, tra sparatorie con carabiniere assassine, fughe sul Freccia Rossa, o di corsa per le vie cittadine di Firenze, Venezia e persino Istanbul.
L’anacronistica, superficiale ed ingenua ambientazione italica tutta effetti di luce abbagliante, siparietti folkloristici e immagini da spot idilliaci e spensierati del paese del sole e della pizza, continua a costituire uno degli elementi più insopportabilmente ingenui e qualunquisti del film, alla pari di quello che succedeva nei suoi due deludenti film predecessori, trasposizioni degne a loro volta di tre (anzi quattro in totale) romanzi (mediocri) scritti da un abile mestierante molto in gamba a far soldi e a procurarsi fama di best sellers.
Qui tuttavia la vicenda, rispetto alle due precedenti, appare un po’ meno campata per aria, la minaccia più credibile o comunque meno assurda, la dinamica dell’inseguimento tra il protagonista ed i fautori del complotto vagamente più appassionate. Tra i nemici, qui mai cattivi per gusto, ma almeno rivestiti di motivazioni ideologiche di una certa complessità, spicca come al solito per intensità interpretativa un Ben Foster stratega di un progetto umanitario folle quanto irriducibilmente ragionato, che pur morendo a pochi minuti dall’inizio, sfracellandosi dalla cima di un campanile fiorentino, torna il qualche flash back veloce, grazie al quale ancora una volta il bravo attore riesce a lasciare traccia del suo strascico interpretativo.
Tom Hanks, un po’ malconcio tra botte in testa, agguati ed iniezioni a tradimento, appare più in parte che nel precedente episodio ove sfoggiava un’acconciatura improponibile.
Lo affiancano due donne, una troppo giovane per lui (Felicity Jones, che nasconde imprevedibili svolte caratteriali, per chi non ha letto ancora il libro) e una bella ma sin troppo materna, forse troppo anziana, resa con appassionata partecipazione dalla “tenera” Sidse Babett Knudsen.
Alla fine, pur con tutte le perplessità del caso, Inferno si rivela, a mio personale modo di intendere, la migliore (o la meno peggio) tra le tre trasposizioni cinematografiche imperniate sul personaggio di Robert Langdon.
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