Regia di Ron Howard vedi scheda film
Una visione infernale.
No, non è vero. Gli piacerebbe. Semmai, Inferno, è un'avventuretta qualunque, una rassicurante, tombale due-ore nei calcolati, gelidi territori mainstream.
Giunta al terzo episodio (il peggiore), la saga tratta dai romanzi di Dan Brown (ma davvero c'è gente che lo legge? che adora farlo?), mostra inevitabilmente e prevedibilmente tutta la stanchezza della formula (fino ad ora) vincente: Langdon rimane invischiato in macchinazioni perverse, Langdon risolve enigmi per gli altri indecifrabili-Langdon salva il mondo tipo all'ultimo secondo. La variante-perdita della memoria è, tutt'al più, appunto, un incidentale escamotage narrativo, un appiglio (peraltro abusatissimo) alla fabbricazione del "complicatissimo" mistero e alle sue conseguenti finali risoluzione e trionfale, tronfia enunciazione.
L'acme del già visto che è come un involontario viaggio - fortunatamente limitato: basta aspettare i titoli di coda - nei gironi della banalità esibita, della noia, della stoltezza (derivante perlopiù dalla fonte "letteraria", ma Howard & c. quantomeno si meriterebbero una sortita nel cerchio dei golosi), dell'approssimazione, della professionalissima standardizzazione hollywoodiana.
Non basta certo, a spostare un minimo passo e sguardo, il côté artistico/artistoide, ovvero quando il random è unica via e marcescente stato della mente (persa nel turistico bighellonare per siti wow!): oggetti antichi sparsi, un Botticelli qua, un po' di Vasari per di là e laggiù, una Firenze dai tesssori strumentali alla cospirazione ordita dal solito miliardario psicopatico, una rapida Venezia-Istanbul così, per vedere l'effetto esotico che fa), nel quale potremmo con buona probabilità annoverare persino quelle mitologiche italiche figure note come Carabinieri ... e no, non è una barzelletta, sebbene la carabiniera in moto (Ana Ularu), sicario al comando di una organizzazione segretissima, un po' (tanto) lo sia ...
Oh, giusto, e poi Dante, l'Inferno: si srotolino nozioni e nomi a caso, basiche scene infernali apocalittiche (scaturite dai deliri indotti del bourniano Langdon) come arredo e corredo dell'impianto thrilleristico - nonché, invero, solo elemento d'interesse del film - e il gioco - il "romanzo", la trasposizione cinematografica, il successo (sperato) - è fatto.
Un gioco grasso di personaggi mascherine dimenticabili e talora ridicole, buttate via malamente - pedine d'una grossolana edificazione narrativa -, di meccanismi risaputi e puntuali come la morte dopo un bagno di peste, di canoni registici regolari, di colpi di scena irrinunciabili che fanno deflagrare azione e qualsiasi senso logico (ammesso che ce ne sia qualcuno).
C'è spazio persino per toni intimisti riguardanti l'invecchiato Langdon (Tom Hanks col pilota automatico: come altro potrebbe fare, d'altronde?), sotto forma di ricordo-rimpianto della vecchia fiamma Elizabeth (capo dell'OMS, interpretata dalla sprecata Sidse Babett Knudsen di The Duke of Burgundy).
Ma c'è ancora spazio per questo tipo di Cinema (e per Dan Brown)? Al box office l'inappellabile sentenza.
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