Regia di Terence Davies vedi scheda film
L'autobiografismo continua in "Voci lontane…sempre presenti" ("Distant voices…Still lives", 1988), dove Davies rievoca le vicende della sua famiglia prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma dove, significativamente, non mette in scena se stesso. Anche questo film è diviso in due parti nettamente separate e girate a due anni di distanza l'una dall'altra. Nella prima, "Distant voices", assistiamo alle vicende di una modesta famiglia operaia di Liverpool, formata dal padre Tommy, dalla madre Nelly e dai tre figli Tony, Eileen e Maisie. La figura del padre, uomo collerico e instabile che spesso mette le mani addosso alla moglie o ai figli per futili motivi, sconvolge la vita dei suoi familiari finché non muore prematuramente. Prima di morire, comunque, Tommy si rende conto dei suoi errori e ne chiede perdono alla famiglia. In "Still lives" la presenza del padre è ormai soltanto un ricordo, che tuttavia continua a venire evocato ora con tenerezza ora con risentimento. Le due figlie si sposano, ma mentre Maisie ha un matrimonio felice con un marito premuroso e comprensivo, Eileen litiga spesso con Dave, suo marito, che vorrebbe tenerla in una posizione subordinata, seguendo l'esempio di altri personaggi del film. I momenti più belli per i protagonisti restano quelli in cui si ritrovano con amici e parenti al pub per chiacchierare, bere una birra e intonare canzoni dell'epoca. La madre Nelly resta sempre l'angelo del focolare, pronta a tutto pur di allontanare dispiaceri e dissapori, ma le circostanze della vita si riveleranno crudeli perché Tony, poco dopo il suo matrimonio, morirà insieme al cognato George in un incidente. Rispetto a "The Terence Davies Trilogy", "Voci lontane" tende maggiormente alla coralità, e infatti il regista lo presenta come il ritratto di vita della classe operaia che ha modellato e formato la sua infanzia. Il film è autobiografico ma allo stesso tempo ha dei contenuti universali, che si fanno memoria collettiva di una società in un determinato momento storico (la working class inglese negli anni Quaranta-Cinquanta), ed è costruito su una struttura particolarissima, senza una narrazione cronologica ma con una giustapposizione di frammenti di storia della famiglia Davies, accostati gli uni agli altri attraverso una serie di quadri o brevi sequenze che sono come le tessere di un puzzle, secondo i processi tortuosi e incompleti di una mente che ricorda. Si ha così l'impressione di sfogliare a casaccio un album di fotografie, impressione rafforzata ancor di più dal fatto che i personaggi posano come in una fotografia in occasione delle varie cerimonie che si susseguono nel film. In "Voci lontane" Davies costruisce le sue immagini stilizzandole come dei tableaux vivants, e accentua quest'impressione ricorrendo spesso a una voluta staticità della macchina da presa. Il colore è tenuto su tinte ocra-marroncine, effetto questo ottenuto tramite un accurato processo di desaturazione. La narrazione procede in maniera fortemente ellittica, con sconnessioni temporali attraverso cui Davies cerca di catturare l'essenza del ricordo in maniera irrazionale, alla maniera della "madeleine" di Proust, il passato ci può giungere solo a piccoli frammenti, spesso messi in atto dalla "memoria involontaria" di cui parlava lo scrittore francese. La nozione di tempo nel film viene ad assumere una struttura ciclica, dove il padre muore all'inizio e poi torna ad opprimere i suoi familiari, così come il figlio Tony muore prima del finale in cui si sposa; in questo modo, Davies ha instaurato una fertile dialettica tra presente e passato, costruendo un'opera dove talvolta è difficile stabilire i vari piani temporali delle singole immagini. Le difficoltà intrinseche di questo particolare tipo di linguaggio audiovisivo sono accentuate da un uso reiterato e insolito della musica, che include una quarantina di canzoni nella colonna sonora (molte delle quali cantate "a cappella" dai personaggi), così da tenerla in contrappunto costante con la storia e da farla diventare a tratti la narrazione stessa. Alcune immagini tornano spesso come leit-motiv visivo, come la porta di casa che delimita lo spazio di appartenenza dei personaggi e il loro piccolo mondo che, pur nello squallore di una routine sempre uguale a se stessa, resta pur sempre il loro mondo. Davies, inoltre, esige dai suoi attori un'essenzialità espressiva e una rinuncia alle tentazioni istrioniche che sono sicuramente memori della lezione bressoniana che, del resto, si può avvertire anche nel rifiuto del calligrafismo e nel legame "necessario" tra le singole immagini, che acquistano valore solo nella messa in relazione delle une con le altre. Le simpatie di Davies vanno soprattutto alle donne, spesso maltrattate o umiliate dai loro mariti, come Nelly, la madre, che accetta in silenzio le percosse del marito pur di tenere unita la famiglia. Ne esce un ritratto preoccupante dell'istituzione matrimoniale saturo di scontri violenti e traumi domestici a scapito delle donne, presentati come la norma della vita familiare in Inghilterra negli anni Quaranta e Cinquanta.
voto 9/10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta