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I vivi e i morti

Regia di Roger Corman vedi scheda film

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La recensione su I vivi e i morti

di undying
9 stelle

Primo horror a colori della A.I.P. di Samuel Z. Arkoff e James Nicholson, ispirato da un racconto di Poe e prodotto con un discreto budget (circa 270.000 dollari). Dirige un ispirato Roger Corman, forte della presenza di un protagonista del calibro di Vincent Price, attore destinato a diventare una star del genere horror.

 

usher-cover

 

Philip (Mark Damon), da tempo alla ricerca dell'amata Madeline (Myrna Fahey), finisce per recarsi al maniero di “Casa Usher”, dove la donna si è isolata assieme al fratello Roderick (Vincent Price): quest’ultimo soffre di un morbo ipocondriaco (ipersensibilità degli organi percettivi, con dolorosa reazione ai rumori e ai raggi luminosi). Anche Madeline è soggetta, in maniera complementare, a crisi catatoniche sempre più intense con il passare dei giorni. Roderick durante la serata racconta a Philip la storia della “maledizione” che grava sulla dimora Usher: è una sorta di nemesi che colpisce i discendenti, ogniqualvolta nella famiglia i figli siano più d'uno; nella circostanza i fratelli impazziscono prima di trovare la morte a causa di orribili contingenze. La casa stessa sembra avvolta da un manto di degradazione, presentandosi (esteriormente) sempre più in un preoccupante stato di decadimento e abbandono. La notte sarà molto movimentata, mentre all’avvicinarsi dell’alba paiono rivelarsi, con tutte le terribili conseguenze, gli effetti della maledizione.

 

"Il simbolismo mi permette di mettere in luce le angosce del subcosciente. L'idea della morte, della sepoltura in un enorme eterno silenzio, il ritorno alla matrice, sono terrori che risalgono all'infanzia. È ciò che fa la grandezza di Poe. Egli aveva trovato, prima di Freud, la strada del subcosciente." [1

(Roger Corman)

 

Vincent Price, Mark Damon, Myrna Fahey

I vivi e i morti (1960): Vincent Price, Mark Damon, Myrna Fahey

 

Prima, riuscita al pari del successivo Il pozzo e il pendolo (1961), pellicola girata da Roger Corman su sceneggiature ispirate da una serie di racconti di Edgar Allan Poe. Benché il soggetto sia stato più volte rivisitato - in maniera inarrivabile nel precedente film di Epstein (La chute de la maison Usher, 1928), pessima nel caso di Alan Birkinshaw (Il mistero di casa Usher,1989) -, l'ottimo risultato di questa riuscita trasposizione cinematografica va ricercato, in primo luogo, nella strepitosa performance di Vincent Price, diventato una star dell'horror proprio in seguito a questa interpretazione. Price, attore di formazione teatrale, dimostra di sentirsi particolarmente a suo agio in una parte complessa e sfumata psicologicamente, riservata a un personaggio loquace, tormentato dalla superstizione, costretto a esprimere il suo angosciato stato d'animo facendo uso non solo della parola, ma prevalentemente accentuando la mimica corporea. A seguire, parte del successo ottenuto dal film va certamente individuato nei testi di Richard Matheson - molto liberamente rielaborati partendo dallo scritto di Poe "The Fall of The House of Usher" (1839) - che riescono a trasmettere la cupa e drammatica atmosfera del luogo maledetto (la casa) rendendo empatico lo stato di malessere e di disagio sperimentato dagli ospiti protagonisti. Della serie è quello che, economicamente, ha avuto il budget più alto (circa 270.000 dollari), ottenuto grazie all'insistenza del regista - a detta dello stesso Corman, in contrasto con Arkoff - contro l'intenzione iniziale dei produttori (Samuel Z. Arkoff e James H. Nicholson della A.I.P.), che avrebbero invece voluto realizzare due differenti pellicole in bianco e nero. Il successo di pubblico ripaga, ampiamente, l’idea (dell'uno o dell'altro che sia): I vivi e i morti, infatti, si colloca tra i cinque film più visti del 1960 e tale inatteso riscontro al box office determina l'avvio della serie basata sui racconti di Allan Poe.

 

Mark Damon, Vincent Price

I vivi e i morti (1960): Mark Damon, Vincent Price

 

La parola a Roger Corman [2]

 

"Ormai ero pronto a passare a un cinema migliore, più ricco, con piani di lavorazione più lunghi, attori più esperti e buone sceneggiature. L'occasione per realizzare tutte queste cose arrivò dall'horror gotico, un genere molto ricco sia di immagini che di temi. Diressi un 'ciclo' di otto film, girati tra il 1960 e il 1964. I soggetti erano tratti dall'immaginazione spesso macabra e psicologicamente inquietante di Edgar Allan Poe, di cui avevo amato immensamente, da ragazzo, le poesie e i racconti. Avevo incominciato a leggere molte cose sulla psicoanalisi freudiana e sui meccanismi profondi della psiche. E poi avevo trovato intrigante un libro scritto da uno psichiatra di Beverty Hills, che analizzava il nesso tra umorismo e orrore. Presi appuntamento per una visita di un'ora, da cento dollari, e andai con Bob Towne nel suo studio a discutere un soggetto. Nel frattempo avevo cominciato a frequentare un mio analista, il tipico freudiano, con tanto di divanetto per esplorare a fondo la mia costituzione emotiva e psicologica. Il ciclo da Poe nacque quando un giorno, a pranzo, Jim e Sam mi chiesero altri due film horror in bianco e nero da 100.000 dollari ciascuno. Dissi di no. «Quello che vorrei fare è un solo horror a colori, magari in Cinemascope, con un budget doppio, 200.000 dollari, e tre settimane di lavorazione. Vorrei che fosse un classico, Il crollo della casa Usher di Poe. Poe ha un suo pubblico, si legge in tutte le scuole superiori. Un film di qualità a colori è meglio di due film da poco in bianco e nero». [3] (...) In Vincent trovai un interprete colto e raffinato della figura di Usher. Era un grande protagonista, un attore di prim'ordine nel pieno di un'illustre carriera. Ero convinto che il pubblico dovesse sentirsi impaurito dal mio personaggio, ma che non dovesse essere una paura cosciente, di natura fisica, basata sulla forza. Volevo un uomo intelligente e tormentato, che fosse superiore agli altri e quindi capace di ispirare una paura profonda. Dick Matheson, un bravo scrittore di fantascienza, mi consegnò un copione ben fatto, molto letterario, e la prestazione di Vincent fu brillante. Ma forse la vera star del film fu lo scenografo, Dan Haller. Andò alla Universal e acquistò per 2.500 dollari uno stock di parti di set e scenari, certe cose grandi e ben costruite che non ci saremmo mai potuti permettere, altrimenti. Dan doveva realizzare un trailer direttamente sul set e stava lì ventiquattro ore su ventiquattro mentre la troupe montava le scene. Buttava giù degli schizzi sul retro della sceneggiatura o su tovagliolini di carta, e la sera ci trovavamo per bere qualcosa e discutere la scenografia del film. Lavoravamo con pezzi prefabbricati e progettavamo grandi set. Gli studíos ci avevano dato libero accesso ai magazzini dove tenevano gli scenarí, e così riuscimmo a costruire certi set grandi, imponenti, prendendo colonne, archi, finestre e mobili un po' qua e un po' là. Poi conservammo tutte le scene di ciascun film in quegli stessi magazzini. E difatti, se si guardano tutti i film del ciclo di Poe uno dopo l'altro, si noterà che alcuni set, o certe parti, appaiono più volte. Se il secondo film aveva lo stesso budget del primo per la scenografia, aveva però anche i set conservati da quello precedente, per un valore di altri 20.000 dollari circa: e così diventava un progetto da 40.000 dollari in tutto. Per il terzo partivamo da un valore di 40.000 dollari di magazzino, più altri 20.000 dollari per nuovi allestimenti. Non era proprio così matematico, perché si spendevano comunque un po' di soldi per smontare, immagazzinare e rimontare ogni volta le scene. Ma è per questo che ogni film del ciclo appare più ricco del precedente, senza che ci siano mai state variazioni nei budget produttivi o nei piani di lavorazione. Le riprese a mascherino delle case e dei castelli forse oggi non convincono del tutto, ma allora erano all'avanguardia. Per i flashback e le sequenze dei sogni in rosso e blu usai la gelatina sulle luci oppure un filtro colorato sull'obiettivo. Spargemmo anche della nebbia. Danny superò se stesso nel riuscire a creare quell'atmosfera cupa, claustrofobica e spettrale all'interno del castello. (...)  Vincent mise molta vita e un tocco di orrore gotico in ogni battuta e azione del film. Questa volta il pubblico era veramente spaventato. Era la prova che le mie teorie funzionavano. Ordinai le sequenze in modo da dimostrare che risate e horror contribuivano insieme a creare e mantenere la tensione. (...) Avevo un debole per i movimenti di macchina. Mi è sempre piaciuto usarli per introdurre le persone e accompagnarle attraverso le scene. La pseudosoggettiva era essenziale per accrescere la tensione. Le scene cruciali sono riprese con una carrellata a precedere della macchina da presa, posta di fronte all'attore che avanza, seguita poi da un controcampo sulla stessa linea della carrellata nel momento in cui la macchina da presa 'vede' quello che vede il personaggio. Alternavo diverse angolazioni e distanze, continuando a muovere la macchina da presa. Ricorrevo, inoltre, a quanto sapevo della teoria dell'interpretazione dei sogni freudiana, e mie personali esperienze di analisi per dare al film un significato simbolico, in relazione all'inconscio. Forse l'orrore nasce quando si rivive una paura rimossa da lungo tempo, risalente, magari ai primi anni di vita. Un segno. Un tabù. Una paura rimasta imprigionata nel subconscio. Volendo interpretare la suspense a livello un po' più profondo, la casa può esser vista come il corpo di una donna, reso accessibile da porte, finestre, archi. Il corridoio diventa la vagina. Avanzare lungo il corridoio oscuro potrebbe significare, ad esempio, scendere nei recessi dei primi turbamenti sessuali di un ragazzino. Sono impulsi contraddittori: un'attrazione e un desiderio irresistibili nei confronti del sesso, e la paura dell'ignoto e dell'illecito. È proprio l'ambivalenza a creare la tensione che poi si scioglie, con un ritmo analogo a quello dell'atto sessuale."

 

Myrna Fahey, Vincent Price

I vivi e i morti (1960): Myrna Fahey, Vincent Price

 

La parola a Vincent Price [4]

 

"(Interpreare I vivi e I morti) era un rischio, e ritengo che nella carriera di tutti arrivi un momento in cui ti dici improvvisamente, 'I soldi non sono tutto; voglio rischiare per qualcosa in cui credo.' Ero convinto che le opere di Edgar Allan Poe non fossero mai state rese correttamente. Conobbi Richard Matheson e pensai che avesse colto l'essenza di Poe, non necessariamente Poe, poiché è molto difficile trasformare un racconto breve in un film lungo. Ma in qualche modo lui colse l'essenza. (...) Sono stato affascinato da Poe da quando sono stato costretto a leggerlo da ragazzino. Gli americani lo hanno relegato a un secondo posto nella storia della letteratura americana, ma nel resto del mondo Poe è considerato il nostro maggior contributo alla letteratura. Ha inventato il racconto poliziesco, ha influenzato tutti i grandi poeti francesi (Baudelaire, Valéry, Verlaine) e tutti i grandi poeti inglesi. E quasi tutti i grandi artisti del XIX° secolo hanno fatto delle illustrazioni per Poe: Gustave Doré, Édouard Manet, Odilon Redon. La sua influenza sul mondo dell'arte è stata enorme." 

 

"In 'I vivi e i morti' mi imbiancai totalmente i capelli e misi un semplice trucco bianco e sopracciglia nere - non penso che qualcuno lo avesse fatto dai tempi di Conrad Veidt - e c'era quella strana faccenda che il personaggio era ultrasensibile alla luce e al suono, così cercai di dare l'impressione che egli non fosse mai stato esposto alla luce e che semplicemente avesse perso colore."

 

Harry Ellerbe, Myrna Fahey, Vincent Price

I vivi e i morti (1960): Harry Ellerbe, Myrna Fahey, Vincent Price

 

Critica 

 

"Poe è stato usato infinite volte come soggetto per film horror, ma solitamente se ne ricavava poco più che uno spunto; l'operazione di Corman e del suo sceneggiatore Matheson è diversa: da Poe essi traggono l'ultima bobina del film, i cui temi essi sviluppano costruendo tutto un lungo prologo che giustifica e prepara il brano effettivamente tratto da Poe. Così l'ipersensibilità di Roderick viene ampliata e giustificata - ma non tradita - e diventa il motore psicologico della vicenda, accentuandone la morbosità e la sottile e inconfessata incestuosità. Protagonista, unico attore anzi davanti alla piattezza dei colleghi, è il raffinato e «teatrale» Vincent Price, attore che rischia facilmente la gigioneria, ma che qui è sottile e misurato e crea un'interpretazione retta su pochi gesti, un aggrottar di ciglia, un atteggiar di labbra. Ma Corman (e Matheson) aggiunge e gli contrappone un deuteragonista, la casa: il rinnovamento del genere praticato da Corman sta proprio in questo, nel trasferire l'orrore dalla vicenda, dai personaggi, all'ambiente: i set poverissimi e sempre uguali si arricchiscono, s'imbarocchiscono, nelle mani dello scenografo Daniel Haller, di un arredamento estremamente curato, spessi tendaggi, ritratti deformi, candele, ragnatele, topolini imprigionati, che rendono l'ambiente vivo, inquietante, prepotentemente predominante. Il personaggio, lo spettatore, la macchina da presa si muovono, si smarriscono, vengono inghiottiti in un dedalo infinito di corridoi e di stanze, ne subiscono irrevocabilmente il fascino e l'attrazione. Il decor diventa la messa in scena del racconto, la sua ragion d'essere; per questo il film si chiude sempre con l'incendio, la distruzione totale del luogo-narrazione. Coerentemente, la macchina da presa non è più classicamente fissa a prediligere i personaggi come in Fisher, ma si muove a creare sul suo percorso il decor, e il colore non è il rosso del sangue ma quello del fuoco, e ad esso non si contrappone in una sintesi il complementare verde ma, in un'antitesi, un blu freddo e glaciale."

(Teo Mora) [5]

 

"Corman fa suoi i principali temi già esplorati da Poe (il terrore psicologico, la prematura sepoltura, il delirio, l'ambientazione come specchio dei personaggi), disseminandoli quindi nella produzione successiva. Ma qui è evidente una sorta di 'slittamento' della fonte del terrore: nel racconto di Poe è Roderick a essere vittima di un malsano influsso originato dalla casa, che tutto impregna e rende l'animo debole e passivo, mentre nel film lui stesso sembra la fonte di ambiguità e follia, amplificata in ritorno dal maniero e dalla sua oppressiva presenza. La geniale intuizione di Poe relativa all'interdipendenza simbiotica tra il castello e i suoi occupanti, che porta a una medesima conclusione catastrofica quando Roderick esce definitivamente di senno e la crepa sulla facciata dell'edificio si incrina facendolo crollare, passa in secondo piano rispetto alle estreme conseguenze dettate dai morbosi legami familiari degli Usher stessi nella concezione mathesoniana-cormaniana. Corman riesce, con questo primo film ispirato a Poe, a utilizzare il simbolismo come apripista per la strada del subcosciente, riconoscendone merito allo scrittore che per primo intuì tale prospettiva. Magistrale la fotografia quasi psichedelica di Floyd Crosby, con utilizzo di filtri colorati, perfettamente legata alla cupezza scenografica di Daniel Haller." 

(Michele Tetro) [6]

 

"Intorno al 1960 si verifica nelle varie cinematografie un ritorno all'horror, attraverso la ricerca di una via «nazionale», spesso letteraria nella scelta dei soggetti, ma spiccatamente cinematografica dal punto di vista linguistico e stilistico. Dopo che la Hammer ha stabilito le regole del gotico inglese (in Italia lo fanno soprattutto Bava e Freda), Roger Corman provvede a reinventare una «via americana» all'horror, che evita le secche delle produzioni giovanili da drive-in, per rivolgersi invece ad una gloria letteraria autoctona come Edgar Allan Poe. Ne viene fuori un celebre ciclo di nove film, dalla smagliante immagine a colori e in Scope, con un gruppo stabile di collaboratori (Vincent Price protagonista, fotografia di Floyd Crosby, sceneggiatura di Richard Matheson, scenografie di Dan Haller), budget limitati ed una serie di caratteristiche tematiche e stilistiche ricorrenti. «Per me, l'universo di Poe è il mondo dell'inconscio - dice Corman. E per ricreare questo inconscio era necessario girare tutto in interni: tutto il film doveva apparire in un ambiente irreale». E così, ecco la claustrofobia e il simbolismo di Casa Usher, con i suoi corridoi, i passaggi segreti, le scale, le ragnatele, le pareti fatiscenti, l'uso del colore (il blu brillante di Philip, il rossastro di Roderick, il bianco di Madeline), l'incendio finale, le cripte che ritorneranno praticamente in tutti i film del ciclo, percorsi da lunghe carrellate e movimenti di macchina che determinano uno spazio e un tempo avulsi, e scandiscono inoltre un simbolismo che ha spesso una forte matrice psicanalitica. È noto che, quando i dirigenti dell'AIP si mostrarono preoccupati da un horror senza mostri, Corman ribatté che il vero mostro era la Casa: e così sarà anche per molti film successivi, che faranno del ciclo un corpus unico e compatto, anche se I vivi e i morti o Il pozzo e il pendolo (analogo per struttura e splendore visuale) risultano superiori ai successivi Sepolto vivo, La vergine di cera o al lovecraftiano La città dei mostri. Interamente girato in studio, I vivi e i morti ha solo la brevissima sequenza iniziale in esterni naturali: un bosco presso Hollywood distrutto e calcificato da un incendio."

(Renato Venturelli) [7]

 

"La perplessità maggiore, alla AIP, nasceva soprattutto dalla difficoltà di adattare i racconti dello scrittore al respiro del lungometraggio, ma lo scetticismo riguardava anche la scarsa cinegenia dell'orrore evocativo tipico dello scrittore: «l film AIP hanno sempre avuto un mostro o una bestia per attirare il pubblico! Dov'è il mostro?», obiettava Arkoff, al che Corman, probabilmente improvvisando, ribatté «Ne La caduta della casa Usher il mostro è la casa. Non vedi? È la casa!». Dopo questo exploit, per accontentare i produttori, inserí nei dialoghi alcune battute in cui Vincent Price, a suffragio di questa teoria, esclamava: «La casa vive! La casa respira!». L'altro manager della AIP, James Nicholson, ebbe una volta a dire che «Poe scrive il primo rullo o l'ultimo, e Roger pensa al resto». Eppure i film del ciclo sono abbastanza fedeli, se non alla lettera, almeno allo spirito di Poe. Se, com'è stato notato, questi non è semplicemente l'autore di racconti e poesie, ma di un'unica grande opera al cui interno si rincorrono tematiche e schegge di narrazione, lo stesso vale anche per i film diretti da Corman, che sono pieni di riferimenti visivi e tematici all'intera produzione dello scrittore. Il merito va ascritto anche a Richard Matheson, in assoluto uno tra i maggiori autori di letteratura fantastica di questo secolo, che riuscí a costruire storie non pretestuose intorno a una manciata di pagine. Matheson sceneggiò la maggior parte dei film tratti da Poe, e costituí una delle colonne portanti sulle quali poggia la reputazione di queste opere. La compattezza stilistica e l'immediata riconoscibilità dei film del ciclo sono dovute anche al gruppo di straordinari collaboratori di cui seppe circondarsi Corman, che rimase pressoché invariato fino alla sua conclusione. Il colore e il Cinemascope, utilizzati per esprimere la psicologia di personaggi rinchiusi in un contesto morbosamente claustrofobico, vengono applicati per la prima volta ad una pellicola dell'orrore in America. Il direttore della fotografia era Floyd Crosby, che aveva collaborato, tra gli altri, a Tabú di Murnau e a Mezzogiorno di fuoco di Zinnemann, oltre ad aver tenuto a battesimo l'esordiente Corman sul set di Five Guns West. Lo scenografo Daniel Haller, che piú tardi diresse diversi film per la AIP, fece poi miracoli coi microscopici budget a sua disposizione, attraverso l'uso magistrale dei pannelli modulari dei set in studio, che gli permetteva di ricomporre e riallestire le scene in ogni produzione in maniera tale che, come ha osservato Corman «ogni volta che giravamo un film il nostro castello diventava un po' più grande». Ma è soprattutto la presenza costante di Vincent Price (con l'eccezione di Sepolto vivo, dove è sostituito da Ray Milland) a costituire un vero e proprio marchio di fabbrica agli occhi del grande pubblico. La sua recitazione, secondo alcuni sopra le righe, era l'espressione di un uomo estremamente colto e raffinato (è nota la sua passione per le d'arte), perfettamente a suo agio nel percorrere oscuri sotterranei e nel dibattersi con ossessioni laceranti, ma in grado di stemperare le atmosfere piú cupe con la sua presenza sardonica: in definitiva, Price non faceva che assecondare l'implicita vena di umorismo del cinema di Corman. Questo aspetto, ravvisabile anche nei successivi Il pozzo e il pendolo (1961) e Sepolto vivo (1962), che replicavano con successo la formula inaugurata da I vivi e i morti, diventa esplicito nell'episodio Il gatto nero, contenuto ne I racconti del terrore (1962), ma soprattutto ne I maghi del terrore (1963). Il primo di questi due film, con la sua formula antologica, fu in assoluto quello che raggiunse la maggiore aderenza alla dimensione letteraria di Poe, ma anche quello meno fortunato al botteghino."

(Daniela Catelli) [8]

 

"Riduzione più fedele al racconto di Poe 'La caduta della casa degli Usher' di quella girata nel 1928 da Jean Epstein, l'opera di Corman procede in equilibrio tra macabre suggestioni visive e sottile analisi psicologica dei personaggi, evidenziando la morbosità che connota il rapporto tra i fratelli in linea con lo psicologismo allucinato tipico di Poe. L'arredamento sontuoso della casa, curato con grande inventiva dallo scenografo Daniel Haller e formato da spessi tendaggi, candelieri e ritratti dal gusto espressionista, mostra tracce di un prolungato abbandono rivelato dalle numerose ragnatele e dai molti roditori presenti nei saloni."

(Angelo Moscariello) [9]

 

"In questo primo della serie di film tratti de Poe dell'American International Pictures sono già visibili gli elementi che la caratterizzeranno: ambientazioni ossessive e caricate, lavorazione pressoché integralmente in interni, con la conseguente 'irrealtà' di molte scene, ritmo molto lento per consentire ai personaggi principali di esporre in lunghi discorsi (e anch'essi 'caricati' come gli ambienti) le anomalie e la disperazione dei loro stati d'animo, attenzione nell'uso del colore sempre curato nei suoi toni cupi e altrettanto 'irreali'. Il tutto pervaso da uno spirito decadente ed eccessivo. L'intera struttura - qui e in quasi tutti gli altri film - poggia su Vincent Price (1911- 1993), che la regge con la soddisfazione di chi ha finalmente trovato il modo di esagerare senza sentirsi in colpa. In questo primo film, Corman (1926), assistito da una brillante sceneggiatura di Richard Matheson, sviluppa efficacemente il concetto del male insito nella casa e nella vegetazione circostante, ridotta a un quadro espressionista. Però, come capiterà anche in seguito, ci sono degli elementi meno riusciti, per fretta o inadeguatezze produttive. In questo caso Mark Damon, capelli imbrillantinati e recitazione moderna è completamente fuori luogo, indipendentemente dalla qualità della sua prova, che è corretta come al solito. Myrna Fahey (1933-1973) ha volto un po' troppo fiorente per sembrare destinata alla morte. Un ordinario Harry Ellerbe è sovrastato, come tutti gli altri, dalla presenza di Price che è semplicemente perfetto e con la sua recitazione sapientemente caricata domina il film."

(Rudy Salvagnini) [10]

 

"Il ciclo cormaniano dedicato a questo scrittore, sebbene spesso sottovalutato e criticato dai più per la sua infedeltà alle trame originali, è in realtà profondamente fedele nello spirito, in quanto ricrea l'incubo tutto interiore, mentale, su cui si basa la narrativa poesca, con il suo addentrarsi nella psiche malata per studiarla e coglierne i significati nei più profondi recessi. (...) L'orrore, dunque, nella visione poesca non è più determinato dall'intrusione dall'esterno di un fenomeno soprannaturale. Questo può essere presente, ma ormai non ha più il potere di incutere paura. Qui tutto è giocato sulla mente dell'uomo, tutto è rapportato al suo mondo interiore e tutto l'orrore scaturisce da questo inesplorato abisso senza fondo. (...) Rispetto al racconto Corman e lo sceneggiatore Richard Matheson introducono delle novità, come la figura del domestico e quella di Philip, nonché la caratterizzazione del personaggio di Madeline, ben presente e partecipe alla storia, diversamente da quanto accade nella fonte, in cui viene vista soltanto una volta all'inizio e poi nel finale. In quanto alla famiglia, è accentuata la loro caratteristica maledizione, dominata come è da assassini e prostitute. Ma qui tutto è ricondotto non alla psicologia dei personaggi, bensì alla casa, vero e proprio personaggio che vive e respira (la sua crepa fa tremare tutto in essa), tanto da spostare tutta l'attenzione sul set, ricco di tappeti, tende, candelabri, corridoi e passaggi segreti che rendono l'ambiente oppressivo e dominante nella vicenda. Allo stesso modo in cui è oppressivo e dominante l'uso del rosso: dai tendaggi ai tappeti, dalle candele ai bicchieri, fino ai vestiti dei personaggi, tutto è rosso. In ciò Corman si avvicina molto allo spirito poesco. poiché è ben noto quanto sia importante nella sua narrativa questo colore simbolo del fuoco e della morte, che aiuta il regista a creare una suggestione figurativa che rimanda prepotentemente all'atmosfera del testo letterario."

(Luigi Cozzi) [11]

 

"...Il personaggio di Roderick Usher è il sensitivo per eccellenza, pronto a essere dilaniato dal più piccolo urto della vita, aggirantesi in un inferno di sensazioni ossessive. Lo sceneggiatore Richard Matheson, che pure è scrittore di fantascienza non dozzinale, ha purtroppo voluto 'arricchire' di fatti il racconto di Poe, col risultato di costruire un traliccio narrativo a base di avi assassini che incombono sui discendenti, turpi fratelli che uccidono le sorelle, porte che scricchiolano e altri effetti del frusto repertorio horrific. Roger Corman, però, che si sta facendo lentamente notare come regista, ha saputo difendersi dalla volgarità immergendo tra l'altro il racconto in un uniforme colore rossastro - dalle tappezzerie alle candele scarlatte agli abiti - che crea una suggestione figurativa non disprezzabile e che concorre a serbare parecchio dell'atmosfera decadente del testo."

(Ernesto Guido Laura) [12]

 

Vincent Price

I vivi e i morti (1960): Vincent Price

 

Dicono di Roger Corman 

 

Vincent Price (attore) [13]

"Si sa che Roger Corman girava i suoi film a un ritmo infernale, però non faceva mai niente a caso, preparava sempre tutto alla perfezione prima. E così i film che io ho girato con lui, anche se effettivamente sono stati realizzati di gran corsa, sono venuti lo stesso bene, perché erano stati perfettamente pianificati a tavolino in precedenza. A mio parere Roger è uno dei migliori registi con i quali ho lavorato, e io sono stato diretto da tantissimi nomi famosi..."

 

Les Baxter (compositore della colonna sonora) [14]

Alla domanda: "Vuole dirci qualcosa di Roger Corman?"

Baxter, dopo aver ruttato: "Ho risposto con un rutto...questo è infatti quello che mi viene in mente quando ripenso a lui. Corman non è mai venuto a trovarmi quando io incidevo le musiche per i suoi film, né mi ha mai detto come farle o in quali scene metterle. Vede, in verità Roger Corman seguiva i sui film solo sul set, nel senso che era lui che li dirigeva, certo, ma non appena le riprese si concludevano, Corman smetteva di occuparsene e andava a preoccuparsi solo del film successivo che doveva fare, lasciando ogni incombenza per la post-produzione di quello che aveva appena finito a Salvatore Billitteri che curava l'edizione di ogni film per l'AIP. (...) Qualche volta sono andato sul set e ho visto Corman al lavoro. Era molto bravo dal punto di vista delle posizioni da scegliere per la macchina da presa ed era assolutamente eccezionale nel girare in fretta, non perdeva mai tempo, faceva correre tutti. Però devo dire anche che non l'ho mai visto dirigere un attore, li lasciava abbandonati a sé stessi, lui non interveniva mai a impostare o a correggere la recitazione. E se l'attore a volte sbagliava una battuta... be', non ho mai visto Corman che interrompeva una ripresa perché l'attore s'era sbagliato. Lui faceva cenno di andare avanti e la scena finiva lo stesso quasi sempre nel film... e toccava a Salvatore Billitteri sistemare il problema in montaggio o con il doppiaggio. (...) Sa che cosa dicevano di Corman? Che se per caso in una strada succedeva un incidente e lui era nei paraggi e lo vedeva, era capace di inventarsi subito una storia sull'accaduto per mettersi a girare un film prima ancora che arrivassero le ambulanze a soccorrere i feriti! Ed era vero: a Corman, se lui lo voleva, bastava un giorno solo di lavoro per girare un film intero!"

 

Richard Matheson (sceneggiatore) [15]

"Lavorava sempre di gran fretta. Una volta solo l'ho visto interrompere una scena a metà. Gli attori si fermarono e anche la cinepresa smise di girare. Tutti si girarono verso Roger e lui disse: 'Basta così! Mi sono accorto che stiamo girando sul set sbagliato.' Infatti erano set tutti già costruiti in attesa di essere usati, e nessuno si era accorto che non erano andati a lavorare nell'ambiente in cui si doveva svolgere quella scena! Roger Corman era fatto così: uno che girava con una velicità incredibile, sempre buona la prima e via a fare un'altra inquadratura. Però era uno che sapeva benissimo quello che faceva, non era per niente uno stupido, sorrideva e sembrava timido e gentile, ma in realtà era duro come l'acciaio e niente lo fermava. Un uomo davvero eccezionale! Lo sceneggiatore abituale dei film di Roger Corman era Charles B. Griffith, ma l'incarico di scrivere I vivi e i morti fu dato a me. Di sicuro fu per questioni di denaro: a me diedero solo 5.000 dollari per quel copione."

 

Myrna Fahey, Vincent Price

I vivi e i morti (1960): Myrna Fahey, Vincent Price

 

La serie prodotta dalla A.I.P. e diretta da Roger Corman 

 

I vivi e i morti (1960)

Il pozzo e il pendolo (1961)

I racconti del terrore (1962)

Sepolto vivo (1962)

- I maghi del terrore (1963)

- La città dei mostri (1963)

La vergine di cera (1963)

- La maschera della morte rossa (1964)

La tomba di Ligeia (1965)

 

Di questi, cinque sono sceneggiati da Richard Matheson, uno (La città dei mostri) è ispirato a un racconto di H.P. Lovecraft. Andrebbe inserito a margine anche La torre di Londra (1962), basato sul "Riccardo III" di Shakespeare, ma di simile impostazione teatrale.

 

scena

I vivi e i morti (1960): scena

 

Visto censura [16]

 

Depositato in Commissione censura il 30 settembre 1960, I vivi e i morti ottiene visto n. 34143 il successivo 27 ottobre, rilasciato per la "proiezione in pubblico con divieto ai minori di 16 anni, dato il soggetto impressionante e numerose scene che possono turbare l'animo dei più giovani."

 

Metri di pellicola accertati: 2350 (82'40" a 24 fps).

 

È invece del 19 settembre 1991 un secondo v.c. (n. 86724), per il quale il film ottiene annullamento del divieto potendo quindi essere  visionato dal pubblico senza più limite d’età. In questo caso, però, nel verbale è stata indicata una lunghezza della pellicola pari a 2110 metri (77' a 24 fps).

 

 

NOTE

 

[1] "Roger Corman", a cura di Giuseppe Turroni (Il Castoro Cinema), pag. 60.

 

[2] "Diversamente vivi - Zombie, vampiri, mummie, fantasmi", a cura di Giulia Carluccio e Peppino Ortoleva (Il Castoro - Museo Nazionale del Cinema), pag. 189 - 190 - 191. Testo originariamente pubblicato in "Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro" (Lindau), pag. 99 - 103.

 

[3] In un'intervista rilasciata a Mark Voger per la rivista Filmax, riportata sul libro American International Pictures - I giorni dei mostri e delle astronavi (pag. 124), Samuel Z. Arkoff dichiara che le cose non sono andate esattamente così. I due produttori avrebbero sin da subito proposto a Corman di girare un film a colori, con un budget di circa 300.000 dollari.

 

[4] "Vincent Price - Il re dell'orrore", a cura di Luigi Cozzi (Profondo rosso), pag. 67 - 68.

 

[5]"Storia del cinema dell'orrore" vol. 2, tomo 1° (Fanucci editore), pag. 113 - 114.

 

[6] "I due volti del terrore - La narrativa horror sul grande schermo" (Odoya), pag. 471 - 472.

 

[7] "Horror in cento film" (Le mani), pag. 75 - 76.

 

[8] "Ciak si trema - Guida al cinema horror" (Theoria), pag. 33 - 34.

 

[9] "Horror - I Dizionari del Cinema" (Electa), pag. 217.

 

[10] "Dizionario dei film horror" (Corte del Fontego), pag. 775.

 

[11] "American International Pictures - I giorni dei mostri e delle astronavi" (Profondo rosso edizioni), pag. 44 - 45 - 46 - 62.

 

[12] "Poe e Corman: il realismo del subcosciente", a cura di Giuseppe Turroni. Pubblicato su "Da Caligari agli Zombi" (Il Castoro), pag. 119 - 120. Testo originariamente apparso su "Bianco e Nero" (1961).

 

[13] [14] [15] "American International Pictures - I giorni dei mostri e delle astronavi" (Profondo rosso edizioni), pag. 457;  506 - 509; 395.

 

[16] Dal sito "Italia Taglia".

 

Vincent Price

I vivi e i morti (1960): Vincent Price

 

"Che cosa si può dire sul dolore?

Le parole ne possono far intravedere solo l'ombra. La realtà di un dolore fisico intenso, acuto, non ha paragoni e va oltre le possibilità del linguaggio. Il mondo ci è fin troppo presente, giorno e notte, ma quando soffriamo, quando soffriamo davvero, si dissolve, svanisce e diventa un fantasma, un vago ricordo, una sciocchezza senza importanza. Tutti gli ideali, sogni, amori, paure, pensieri che possiamo avere avuto diventano irrilevanti. Siamo soli con il nostro dolore, è l'unica forza rimasta nell'universo, l'unica cosa concreta, l'unica che conta, e se il dolore è abbastanza forte e dura a lungo, se è il genere di agonia che continua senza darci respiro, allora tutto quello che costituisce la nostra umanità svanisce e il fiero, sofisticato computer che è il cervello umano può elaborare un unico pensiero: "Basta! Fatelo cessare!"
E se il dolore alla fine smette, in seguito, con il passare del tempo, anche la mente che lo ha sperimentato diventa incapace di comprenderlo, di ricordare quanto era orribile, di descriverlo e di affrontare la terribile verità di come ci si sentiva quando era presente."

(George R. R. Martin)

 

F.P. 15/07/2023 - Versione visionata in lingua italiana - bluray ‎Sinister Film 

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