Regia di William Friedkin vedi scheda film
Quando venni a sapere che il Festival di Venezia tributo' a William Friedkin un Leone d'oro alla carriera, pensai che fosse un riconoscimento abbastanza generoso ed esagerato, per un regista che oltre ai cult commerciali di film come L'Esorcista (1973) ed Il Braccio Violento della Legge (1971), quest'ultimo generosamente premiato con 5 oscar quando aveva contro capolavori come Arancia meccanica e L' Ultimo spettacolo, non aveva chissà che filmografia. Vivere e Morire a L.A. (1985) consigliatami da un amico virtuale, rimette in carreggiata ai miei occhi la figura del regista.
I punti di forza e di originalità del film sono evidenti; mentre i coevi polizieschi e film d'azione dell'epoca Reganiana usavano la violenza in modo fine a sé stessa in modo spettacolare con tanto di approccio da commedia che cominciava a farsi strada in film come Beverly Hills Cop (1984), la pellicola di Friedkin è un film totalmente avvulso dal clima ottimista degli anni 80’, mettendo in scena un poliziesco molto cupo, violento e dai risvolti totalmente pessimisti nello sviluppo della narrazione e nell'evoluzione dei personaggi. I titoli di testa di Vivere e Morire a L.A, ci mostrano inizialmente una serie di personaggi e mezzi di trasporto di varia natura (treni merci, macchine e carretti a traino animale) immersi in una Los Angeles illuminata da un Sole che per via della polvere e lo smog, acquista un color rosso sangue. Cosa fa' da carburante a tutto questo? Friedkin con un aggiustamento del fuoco della macchina da presa, passa dall'inquadrare la superficie di un bancone di un bar a mostrare cosa c'è dietro il movimento di una metropoli; i soldi. Il tema centrale del film sono i soldi veri e quelli falsi stampati dal pittore Rick Masters (Williem Dafoe), il quale si è appena macchiato di un agente federale prossimo alla pensione che gli era alle costole; il suo collega Richard Chance (William Petersen) coadiuvato dal suo nuovo partner John Vukovich (John Pankow), giura di vendicare a tutti i costi la morte del suo partner. Il regista continua ad esplorare il rapporto che unisce il bene al male, dove quest'ultimo risulta spesso essere una manifestazione del primo. Non si tratta stavolta di superare il confine sforando di poco la legalità “a fin di bene", stavolta Friedkin quel confine lo abbatte del tutto, poiché Chance e Vukovich sono due veri e propri criminali legati alla polizia solo per la divisa ed il distintivo che portano, ma null'altro.
Friedkin inserisce alcune metafore; alcune di facile interpretazione come Chanche che pratica bunge jumping lanciandosi nel vuoto e legato solo da una corda che lo tiene attaccato al ponte, chiaro riferimento all'indole del personaggio di andare ben oltre i limiti consentiti dalla legge, mentre altre metafore sono invece ugualmente semplici da capire, ma difficili da realizzare come l'inseguimento in cui Chance e Vukovich si trovano braccati e si infilano nella corsia in contromano per scappare in autostrada, evidentemente riferimento al fatto che i nostri due protagonisti hanno imboccato un sentiero opposto alla legalità diventando dei criminali che non agiscono per arrestare un criminale, ma solo per vendetta personale.
Sicuramente la metafora più complessa riguarda il pittore Rick Masters, il quale dopo aver creato un dipinto sceglie di bruciarlo, probabilmente perché dopp aver dato sfogo alla sua vera natura, si purifica dando fuoco alla sua creazione per mantenere una sorta di purezza.
Il regista partendo da uno spunto classico per il genere, rompe a poco a poco molte regole del poliziesco, andando oltre il genere per mostrare il ritratto di un'america anni 80' basata solo sul soldo, motore dell'economia e delle azioni dei personaggi. Lo straniamento della confusione tra bene e male, viene accentuato dal fatto che oggetto delle indagini sono i soldi falsi mescolati ai soldi veri, che il falsario fabbrica; grandissima la sequenza dove Masters stampa i soldi falsi con musica anni 80' di Cheung (il regista ligio al suo estremo realismo, si avvalse dell'aiuto di veri falsari).
Per tutti questi fattori, Vivere e Morire a L.A è il più grande poliaziesco di sempre; una pellicola cupa, violenta (i colpi di pistola spappolano il viso), malata e con scene d'azione uniche nel suo genere e colpi di scena spiazzanti che lasciano lo spettatore confuso.
Girato con un budget di 6 milioni, incassò circa 3 volte la sua cifra, ma ovviamente molto lontano dalle cifre dei film polizieschi di quel decennio, ma non può essere altrimenti visto che come dice Mereghetti, è un film che per la sua natura non potrà mai sfondare presso il grande pubblico. Dato il budget ridotto Friedkin dovette ripiegare su attori sconosciuti, riuscendo però a scovare futuri grandi attori come Dafoe, perfettamente a suo agio con i suoi lineamenti corvini nel ruolo dell'antagonista (Un paio di anni dopo farà Platoon e prima nomination agli Oscar); buono anche Petersen a mettere in scena un poliziotto oramai totalmente fuori controllo in tutto e per tutto che replichera' in modo ancor più malato in Manhunter di Michael Mann.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/film/7829/vivere-e-morire-a-los-angeles/recensioni/939683/#rfr:user-96297
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