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Vivere e morire a Los Angeles

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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La recensione su Vivere e morire a Los Angeles

di champagne1
9 stelle

Le stelle sono gli occhi di Dio.

Quando gli mancano 3 giorni alla pensione, l'agente federale Hart viene ucciso mentre sta indagando su un certo Masters, sospettato del reato di contraffazione monetaria. Il suo "gemello" Chance, impulsivo e scapestrato, che tante volte ha dovuto ringraziare il collega per avergli coperto le spalle, si sente in colpa per avergli fatto svolgere l'ultima indagine da solo, sottovalutandone la pericolosità. Decide pertanto che riuscirà a incastrare il falsario con qualunque mezzo a sua disposizione ...

 

La prima scena del film, apparentemente fuori contesto, è la più inquietante di tutte, perché macabramente profetica (l'arabo imbottito di esplosivo che vuole farsi saltare in aria gridando "Allah akbar"). Poi il film prende una piega più consona all'epoca, ma  - contrariamente a certe opere coeve, in cui l'azione è mescolata a un tono di commedia - con una durezza e un cinismo che creano un effetto straniante nello spettatore.

Le atmosfere così caratteristiche, frutto di location periferiche, luci talora soffuse e tremolanti (alba e tramonti), pongono l'opera in continuità ma ben differenziata dal gotico de L'Esorcista e lo stile secco e ruvido de Il braccio violento della Legge, e in un certo senso permettono a Friedkin di ridare nuovo slancio a un genere che sembrava aver perso appeal nel pubblico.

Il Regista ricava il soggetto da un romanzo di un ex-agente dei Servizi Segreti, trovandolo così vero e adatto a rappresentare alcuni dei suoi temi preferiti: dall'ossessione al tradimento fino alla sottile linea d'ombra che divide il bene dal male.

Arricchisce il tutto con una regia frenetica, ma precisissima, dove non si spreca neanche una scena, convulsa a volte come un videoclip musicale; ci butta dentro una dose di erotismo algido ma intenso e soprattutto una colonna sonora di un band new wave britannica (Wang Chung) che con quell'ossessivo ritmo di basso e batteria (elettronica) scandisce tutte le principali scene, soprattutto quelle più movimentate, enfatizzandole oltre misura.

 

 

Dovendo spendere un budget modesto (dopo il boom de l'Esorcista, i suoi successivi insuccessi commerciali non parlavano a suo favore), Friedkin sceglie un cast senza star. Eppure il protagonista William Petersen, nei panni di Chance, pure se al suo debutto, è rimasto una figura iconica degli anni '80, mentre per Willem Dafoe (Masters) il film è risultato un ottimo trampolino di lancio per il successivo Platoon, interpretato l'anno dopo.

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