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Vivere e morire a Los Angeles

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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La recensione su Vivere e morire a Los Angeles

di cheftony
8 stelle

Lo sanno tutti che Rick Masters non comincia mai un lavoro senza soldi anticipati. E dovreste anche sapere che non ho mai fregato a nessun cliente i soldi dell'anticipo. Qui in palestra ci vengo tre o quattro volte a settimana da cinque anni: è piuttosto facile rintracciarmi. D'altronde la mia reputazione parla da sola. Il fatto è che, se non potete darmi l'anticipo che vi ho chiesto, non fate sul serio.”

 

 

Richard Chance (William Petersen) è un detective losangelino dei servizi segreti, impulsivo e risoluto a vendicare l'omicidio del collega Jimmy Hart (Michael Greene) appena pochi giorni prima che lo sventurato potesse andare in pensione. Convinto che l'omicidio del “gemello” sia avvenuto a causa di qualcosa di troppo adocchiato da Hart nell'ambito del loro lavoro contro i falsari, Chance non ha dubbi: è stato il falsario Rick Masters (Willem Dafoe) a uccidere Jimmy. Deve solo dimostrarlo.

Assieme al nuovo compagno di reparto John Vukovich (John Pankow), flemmatico e rigoroso, Chance si mette all'opera, partendo dall'arresto del pesce piccolo Carl Cody (John Turturro), che viene colto in flagrante nell'atto di spacciare soldi falsi e resiste strenuamente all'idea di fare il nome di Masters una volta incarcerato. Visto che questa traccia è insufficiente, Richard continua a coltivare il rapporto con la bionda Ruth (Darlanne Fluegel), trainato da un complice scambio di sesso e informazioni clandestine di provenienza mai chiarita. Mentre Masters - ormai fronteggiato quasi a viso aperto - si avvicina sempre di più, i metodi di Chance si fanno ancor più sbrigativi del solito, debordando dal lecito e causando uno scontro fragoroso e incerto fra il bene e il male…

 

 

Il ritorno ai vecchi fasti attraverso un noir tiratissimo e peculiare, a suo modo classico e anomalo: questa l'operazione di Billy Friedkin con “Vivere e morire a Los Angeles”, effimera rinascita artistica datata 1985, a seguire le tiepide (roventi, a dire il vero, nel caso di “Cruising”) reazioni di critica e pubblico ai suoi ultimi lavori.

Col tempo Friedkin – già regista tecnicamente eccelso – si è scoperto pure sceneggiatore, tant'è che qui scrive una massiccia parte dello script, basandosi sul romanzo omonimo (dato alle stampe giusto l'anno precedente) di Gerald Petievich, ex-agente dello United States Secret Service e collaboratore del regista nella stesura. Sempre in nome dell'iperrealismo, “Vivere e morire a Los Angeles” gode della consulenza di un autentico falsario, essenziale per dar vita alla scena più suggestiva dell'intero film, vale a dire la lunga sequenza in cui il personaggio interpretato da Dafoe illustra, passo dopo passo, l'intero, artistico processo di contraffazione di banconote; tutto questo con su gli azzeccati motivi dei Wang Chung, gruppo inglese fra new wave e dance-pop in voga al tempo. Da citare anche l'importantissimo lavoro alla fotografia dell'olandese Robby Müller, storico collaboratore di Wenders, che conferisce a Vivere e morire a Los Angeles” un aspetto curiosamente vivace e malsano.

Friedkin, di nuovo alle prese con un nebuloso scontro fra sbirri e malviventi nel quale non esistono buoni e cattivi, si e ci concede, proprio come ne “Il braccio violento della legge”, un inseguimento automobilistico da capogiro. Le centellinate scene d'azione mantengono alta la tensione e stemperano la drammatica serietà della contrapposizione fra la determinata sete di vendetta del poliziotto dissennato e il cinismo di un villain col pallino del fuoco purificatore. Quest'ultimo ruolo risulta memorabile grazie soprattutto a Willem Dafoe, allora alle prime armi (proprio come Turturro), ma nato per interpretare queste parti. Quanto a Petersen e Pankow, va considerato come Friedkin fosse nativo di Chicago e non volesse star per non far lievitare il budget, nonché forse per evitare le sfilze di rifiuti che incassava da diversi casting; da qui la decisione di scritturare attori teatrali originari dell'Illinois, di basso profilo ed efficaci. Certo, curiosamente Petersen non brilla per espressività, ma è in possesso dell'adeguato physique du rôle, tant'è che l'anno dopo avrebbe recitato in una parte molto simile in “Manhunter”.

Un finale caustico, non convenzionale, molto à-la-Friedkin chiude in modo pertinente l'effimero ritorno di 'Hurricane Billy' ai picchi di una carriera costellata di alti e bassi.

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