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Vivere e morire a Los Angeles

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Vivere e morire a Los Angeles

di dansk_noir
5 stelle

Sovrastimato. A tratti sembra di guardare un telefilm del quale si è persa la parte precedente.

Jimmy Hart è un agente dell' USSS, ed è sulle tracce del falsario Eric Masters quando viene scoperto e ammazzato. Il suo partner Richard Chance si ripromette di far qualsiasi cosa pur di prenderlo. Dopo appostamenti e interrogatori che non danno risultati, è il suo nuovo partner John Vukovich che riesce ad organizzare un primo contatto con il falsario tramite il suo stesso avvocato.

La somma che richiede Masters per un'operazione di contraffazione è superiore a quella che il dipartimento può concedere ai due agenti; ma a Los Angeles la circolazione di denaro (vero e fasullo) è intensa e veloce quanto la circolazione delle informazioni (anch'esse vere e fasulle) e Chance sfrutta al volo una notizia secondo cui un cinese sta arrivando in città pieno di soldi per un affare di diamanti rubati. Dopo un inseguimento forsennato si scopre che il tizio, ormai morto, era un federale ma a quel punto i giochi sono fatti: Chance ci rimette le penne e Vukovich prende il suo posto.

In una realtà dove il denaro ammorba tutte le relazioni a tutti i livelli nessuno è immune dalla depravazione e dalla dannazione, come testimoniano le fiamme nel prefinale.

 

Se in "Thief - strade violente" e "L' anno del dragone" si dà risalto alla dimensione esistenziale dei protagonisti, qui è il gesto che conta: il più delle volte quello di eliminazione che rivela la natura autoreplicante del doppio e fa sì che gli eventi proseguano in un circolo potenzialmente infinito. Proprio per questo, i ruoli sono scritti in modo molto sbrigativo e convenzionale e solo Willem Dafoe riesce a dare ambiguità e background al suo personaggio in modo efficace.

La maggior parte del cast è tutt'altro che brillante e il peggiore è William Petersen che con la sua faccia da citrullo-apatico-tonto esprime una mollezza tale di intenti e di movimenti e infatti per tutto il film ancheggia in un modo decisamente insolito per un "poliziotto". Questo suo essere anodino pervade tutto il tono della rappresentazione - poiché di questo si parla- che pur essendo improntata ad un forte nichilismo già nei primi 10 minuti, lascia invece lo spettatore nell'indifferenza emotiva più totale. In tutto questo non aiuta nemmeno la monotonia dei dialoghi (che risentono di un doppiaggio dozzinale) e delle musiche.

La Los Angeles citata nel titolo fa solo da sfondo ed è resa in modo quasi televisivo con sprazzi di riprese in fast forward per lo più usate per dare senso di velocità; niente di più lontano dall' ampiezza delle immagini caratteristica di Cimino o dalle vedute contemplative manniane (da notare tra l'altro lo scopiazzamento della Ferrari nera da Miami Vice).

La regia, che in un primo momento ho trovato poco scorrevole e frenetica, prende il suo ritmo giocando con scene-fotocopia, immagini sovrapposte e ripetizioni che amplificano il senso di doppio e continuano finanche all'ultimo fotogramma dopo i titoli di coda. 

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