Regia di Nabil Ayouch vedi scheda film
Esempio classico di film che scatena un immenso polverone e, in fondo, non è nient'altro che quel polverone stesso. La provocazione. Può la provocazione essere la scusante per coprire le tracce di una trama esile e di una sceneggiatura che si trascina per quasi due ore di luoghi comuni sugli arabi, sui musulmani, sulle donne musulmane? Esatto: rimarcare la diversità così spinta, diversità effettivamente esistente nel mondo, non fa altro che rendere grazia, da un certo punto di vista, ad uno stereotipo che, invece, proprio in quanto stereotipo, dovrebbe essere discusso ben più a fondo e ben più apertamente.
Tre (successivamente, quattro) donne, in una Marrakech che vive di stenti, povera, che è forse l'unica vera forza del film, guadagnano facendo le prostituti per ricchi turisti attratti dalle bellezze del Marocco, sia arabi, sia europei. Ognuna lo fa per un motivo diverso, ognuna ha sogni e ambizioni diverse: si intrecciano le storie di queste quattro donne, in un gomitolo di esistenze, in un cubo che rivela, però, sempre la stessa sporca faccia. E così c'è quella (vera protagonista del film, una splendida Loubna Abidar) che cerca di mantenere la madre, la sorella, il figlio. C'è quella che vorrebbe ritrovare il padre in Spagna, scappare da un Medioevo (locale e personale), fuggire via. C'è quella che è, a suo modo "provinciale", cerca di inserirsi nel gruppo, incinta di un uomo sparito nel nulla. E così via. Proprio la descrizione del tipo di vita che svolgono, tra feste e violenze, alcol e sesso, scade spesso in un semplice cahier de doléances, senza alcun valore cinematografico. Una denuncia dell'ipocrisia del proprio paese, del proprio popolo, sì, ma sempre e solo quello.
Quattro donne in un interno, che fantasticano su una vita diversa, mentre fumano dell'hashish, sdraiate sul letto. Sul tema, aveva scritto un bellissimo libro, tempo fa, Azar Nafisi, "Leggere Lolita a Teheran", straordinaria cronaca dell'essere donna in Iran ai tempi della rivoluzione. Certo, qui i temi sono ben diversi: soffermandosi sull'elemento che maggiormente ha suscitato scalpore, il diretto approccio all'atto sessuale, la pornografia (non è erotismo, non vuole esserlo) reiterata, utilizzata come strumento di distruzione di un intero sistema di valori, di un'intera idea di società, ci si rende conto che esso è, tristemente, fine a se stesso.
Qualche mese fa fece scalpore la notizia di una serie di filmati pornografici, facente parte di un filone, denominato "Hijab Porn". Insomma, atti sessuali compiuti dalle attrici col velo. Seguendo la lente di chi insiste nel definire il film una sorta di ribellione attraverso l'elemento sessuale (che è poi uno dei punti che, da sempre, colpisce maggiormente l'immaginario collettivo: il ruolo della donna nell'Islam e come la donna islamica vive la propria sessualità), anche l' "Hijab Porn", ha valore sociale, oltre che cinematograficamente valido. Insomma, una delle attrici porno, Mia Khalifa, ha preso anche la fatwa, per quello!
Come sopra scrivevo, l'unico interesse che può suscitare il film, è la Marrakech che restituisce: colpire al cuore la fotografia di una città profondamente oscura, di una città profondamente cupa. Nabil Ayouch (di questo gli va dato merito) non interroga la Marrakech turistica, per cercare le risposte che deve. Interroga, invece, la Marrakech che non vedrai mai nelle cartoline, se vogliamo, la Marrakech "vera".
In questo, il film è pienamente riuscito: solo in questo.
Ma, per non fare un torto a Jafar Panahi, non chiamiamolo cinema politico.
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