Regia di Ciro Guerra vedi scheda film
Ispirandosi ai resoconti dei viaggi in Amazzonia di due etnografi ed esploratori, il tedesco Theodor nel primo decennio del Novecento e l'americano Evan negli anni 40, ed immaginando che venisero condotti lungo il fiume a quarant'anni di di distanza dalla stessa guida, l'indio Karamakate , il giovane regista colombiano Ciro Guerra ci conduce in un potente viaggio nel cuore dell'Amazzonia e nel cuore dell'uomo, tra scenari di una bellezza mozzafiato splendidamente fotografati in bianco e nero.
I due viaggi, che narrativamente si intrecciano e si sovrappongono come a comporre un'unica storia, rappresentano anche l'incontro tra due diverse civiltà, quella scientifica-occidentale impersonata dai due esploratori e quella magica-primitiva degli indios, rappresentata da Karamakate, a cui gli occidentali si rivolgono per ritrovare un fiore magico, la yakruna, sacro alle popolazioni amazzoniche, in grado di curarli dai rispettivi mali. Il viaggio in canoa sul fiume che penetra l'oscura e misteriosa foresta è sicuramente ricco di reminescenze di Cuore di Tenebra e Apocalypse Now (soprattutto nel segmento della missione cattolica, dove i bambini strappati alla giungla per essere educati al cristianesimo dai frati quarant'anni dopo si sono tramutati in una setta dedita all'adorazione di un folle simil-Messia in stile Colonnello Kurtz). Ma il viaggio è soprattutto l'immersione nella parte più primitiva dell'animo umano, dove l'uomo occidentale prova un'esperienza mistica nella riscoperta delle sue antiche radici, che però egli stesso sta irreparabilmente distruggendo con l'omologazione alla sua civiltà.
Se le figure dei due esploratori sono simili al punto di essere sovrapponibili, il personaggio cardine del film, l'indio Karamakate, interpretato da due diversi attori, viene profondamente cambiato dai decenni intercorsi tra il primo ed il secondo incontro con l'uomo bianco. Durante il primo viaggio è un giovane fiero e orgoglioso, che detesta i bianchi in quanto distruttori della sua civiltà, diprezza gli indios che hanno accettato di "corrompere" la loro purezza adattandosi agli usi e agli abbigliamenti europei: accetta di aiutare il tedesco solo nella speranza di poter rincontrare gli ultimi sopravvissuti del suo popolo, e nell'incontro con i bambini della missione cattolica non si lascia sfuggire l'occasione di cecrcare di riportarli ai culti e alla tradizioni originarie. Quarant'anni dopo, invece, Karamakate ci appare almeo all'inizio come un vecchio disilluso, che rimpiange di aver perduto il ricordo dell'antica saggezza degli avi, incapace di leggere le antiche iscrizioni magiche che per lui sono diventate soltanto "disegni sulla roccia": per lui il secondo viaggio diventa strumento di riscoperta di sè e dell'antica saggezza che temeva di aver perduto.
"El abrazo de la serpiente" è un raro gioiello, dove la meraviglia delle immagini e la potenza della narrazione conducono lo spettatore attraverso un'esperienza mistica e poetica, che rimane negli occhi e enll'animo ben oltre la fine della proiezione.
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