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Un bacio

Regia di Ivan Cotroneo vedi scheda film

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La recensione su Un bacio

di scapigliato
7 stelle

Se il film di Ivan Cotroneo voleva essere Noi siamo infinito (2010), mancano i presupposti culturali. Se Rimau Grillo Ritzberger voleva giocare a Ezra Miller, manca la scuola. Ad ogni modo Un bacio è un film notevole.

Chi scrive non ha letto il romanzo, dello stesso regista, ma basta la sintesi cinematografica per capire le intenzioni autoriali di Cotroneo che vuole saggiamente svecchiare il cinema italiano partendo dai contenuti – tematiche, personaggi, moduli narrativi – per arrivare poi alla forma, lucida, tagliente, minimalista e caricata allo stesso tempo.

Delle tre giovani vite di cui ci racconta non possiamo fare di tutta un’erba un fascio, ma è anche vero che il linguaggio degli stereotipi, azzeccato se addomesticato e variato autorialmente, rischia invece di andare per traverso e scadere nel retorico e nel didascalico. L’intento antropologico è apprezzabile, ma la cristallizzazione dei tre adolescenti protagonisti è inefficace. Sicuramente, il personaggio di Lorenzo, il ragazzino orfano, adottato da poco, gay dichiarato, è irritante e arrogante, nonostante l’innocenza naturale. La spocchia e lo sciovinismo con cui sbatte in faccia la sua presunta magnificenza – forse anche una corazza con cui difendersi, ma pur sempre soluzione eccessiva e inaccettabile – fanno del suo personaggio un  oggetto sì spiazzante, ma anche insostenibile, ai limiti della più generosa accettazione – il continuo e sgradevole richiamo a Lady Gaga (lady gaga chi?), a Justin Bieber (bieber chi?), a Glee (2009-2015), alle vagonate di vestiti appariscenti e scarpe trendy, e in definitiva ad ogni simbolo dell’immaginario queer (o LGBT, come vorrebbero gli intellettuali arcobaleno capaci di far cambiare addirittura l’etichetta dello scaffale in Feltrinelli), è un richiamo fastidioso che impoverisce la dignità del singolo individuo – anche perché se il personaggio è irritante, Grillo Ritzberger lo interpreta con coraggio e spontaneità. Allo stesso modo, la protagonista femminile, Blu (Valentina Romani), seppur brava, è ostaggio di un personaggio affettato quanto contraddittorio. Odiata da mezza scuola per essersi fatta tutti i più bei ragazzi degli anni precedenti – leggere alla voce “scopare a caso per essere popolare” – resta impegnata con un ragazzo più grande (il povero Franceschini utilizzato come toppa) che l’ha messa al centro di un’orgia tra amici di cui la ragazza parla con orgoglio e naturalezza – prima ovviamente di rivedersi in video e realizzare quanto misera sia la sua vita e soprattutto ipocrita.

Di tutt’altro segno invece, l’Antonio interpretato da Leonardo Pazzagli. A differenza degli altri due amici è di classe operaia, ha perso il fratello più grande in un incidente, è il capitano della squadra di basket e non sembrerebbe essere un’aquila né a scuola né nella vita. Non solo il personaggio è il più sfumato, più interessante, enigmatico e simpatico del terzetto, ma è anche ottimamente interpretato da Pazzagli. Personaggio tutto fisico e introspezione – paradossi che invece ben si sposano ed emergono nelle performance del giovane lecchese – il suo Antonio, e la sua linea narrativa, rialzano la vicenda dalla patina del glamour visivo e dal patetismo della “diversità” a tutti costi: la normalità virile e minimalista del giocatore di basket un po’ toccato che va a caccia con il padre e preferisce la mountain bike allo scooter griffato è di gran lunga più commovente ed empatica di tanti buonismi.

La storia sterza bruscamente verso una tragedia annunciata senza passare prima attraverso i coni d’ombra della morbosità voyeuristica, spruzzando giusto quel poco di pepe adatto ad un pubblico represso e pruriginoso come quello italiano. Un finale prevedibile, ma che fino all’ultimo non vorremo arrivasse e che invece tutto andasse come l’insognazione finale su cui si chiude il film. Se ai David di Donatello 2017 fosse esistita la categoria “miglior attore esordiente” – come accade nei prestigiosi Goya spagnoli – il bravo Lorenzo Pazzagli avrebbe vinto a mani basse e più che meritatamente.

Il limite di Un bacio, oltre quello dell’emulazione dei grandi film adolescenziali americani, in parte anche riuscita grazie alla dote registica di Cotroneo che non va affatto dimenticata, è di essere caduto, probabilmente come il romanzo, nella convinzione di saper descrivere il mondo degli adolescenti così com’è e di fare il tifo per loro nonostante le storture della loro generazione. Se davvero si vuole bene ai più giovani non si può accettare il loro mondo e il loro immaginario di rifermento così, a scatola chiusa, lasciandoli liberi di tenere in ostaggio famiglie e società solo per quieto vivere. Se è vero che i  ragazzi devono fare di testa loro, è anche vero che gli adulti devono fare gli adulti e non accettare passivamente le isterie adolescenziali in attesa del tragico gesto finale.

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