Regia di Mario Mattòli vedi scheda film
Prima del neorealismo ufficiale, prove (poco) tecniche di un movimento destinato a strano destino (il nostro vestito buono, come disse qualcuno più competente di me). La vita ricomincia dice forse molte più cose dell’immediatissimo dopoguerra italiano di un qualunque altro studio sociologico.
Malgrado sia filtrato attraverso un impianto che più melodrammatico non si può (la moglie di un reduce di guerra uccide l’uomo che l’ha costretta a concedersi in cambio delle cure per il di lei figlio), il film di Mario Mattòli (di lì a poco regista ufficiale di Totò) riesce ad essere al contempo un’opera di intrattenimento sentimentale (come quelli della fortunata serie I film che parlano al vostro cuore, di cui fu responsabile nei primi anni quaranta) ed anche un sorprendente ritratto, amarissimo, sulla condizione non solo di chi è tornato e non sa come riconnettersi col mondo circostante, distrutto e da ricostruire (un tema analogo a quello che l’anno dopo sarà al centro de I migliori anni della nostra vita di William Wyler), ma soprattutto di chi è rimasto a casa e si è dovuto barcamenare tra mille difficoltà (ossia le madri, le mogli).
Coinvolgente e appassionato, purtroppo non è mai stato annoverato tra i classici del nostro cinema nonostante il grande successo ottenuto all’epoca: fu il trampolino di lancio americano della stupenda Alida Valli, già matura nel fulgore dei suoi venticinque anni. Al suo fianco, il divo di regime (di lì a poco destinato al declino) Fosco Giachetti e la presenza emblematica di Eduardo, che sembra stare là proprio per dire che “ha da passa’ ‘a nuttata”.
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