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Sole alto

Regia di Dalibor Matanic vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sole alto

di ed wood
6 stelle

"Sole alto" è il tipico film senza infamia e senza lode. Non si eleva più di tanto dagli standard del cinema d'autore europeo contemporaneo. Non osa, non inventa. Nè sul piano delle idee nè su quello dello stile. Si costituisce di tre episodi, tre storie d'amore in tre differenti epoche della storia jugoslava (1991, alla vigilia della guerra civile; 2001, con ancora le macerie in bella evidenza; 2011, con gli edifici ricostruiti e la guerra apparentemente rimossa). Gli interpreti (tutti convincenti, ma senza eccellenze) sono gli stessi per ogni episodio, mentre i personaggi cambiano. Ogni episodio presenta continue rime e rimandi incrociati agli altri, come a significare il fatto che, nonostante gli sconvolgimenti politici, la conflittualità è destinata a rimanere una costante fra i popoli balcanici. Alcuni elementi, come l'immersione in acqua, il dettaglio degli insetti, il cane nero, albe e tramonti etc...ricorrono in ogni episodio, ma restano simboli inerti, pretestuosi: c'è un certo manierismo che inibisce la poesia, come se Matanic applicasse meccanicamente una specie di manuale di modalità espressive consolidate nel cinema d'essai. 

 
L'unico momento autenticamente creativo, in cui si fa strada una certa personalità artistica, si trova nel secondo episodio, dominato da inquadrature tramite porte, finestre, fessure, a significare la diffidenza della protagonista nei confronti del ragazzo "straniero". Una trovata indubbiamente ispirata, anche se purtroppo l'episodio è rovinato da una telefonatissima sequenza di sesso selvaggio (ho il sospetto che sempre meno produttori siano disposti a cacciare soldi per film privi di una buona razione di sesso e che questo obblighi gli autori a forzare le trame per farci stare sequenze di questo genere anche dove non ci starebbero). Il primo episodio invece è quello di taglio più tragico, autenticamente "jugoslavo" nella sua ferocia nera dalle tinte grottesche (il protagonista oppone il suono sguaiato della sua tromba al fucile del soldato).
 
Fra le tante rime interne, quella più sensata è una specie di "chiasmo" che riguarda i primi due episodi: le due coppie di protagonisti si ritrovano sulla stessa spiaggia all'inizio del primo episodio e verso la fine del secondo. La situazione è invertita: nel primo sono due fidanzati il cui amore è minacciato dall'appartenenza a due ceppi etnici in procinto di farsi la guerra; nel secondo, il fatto di essere stati nemici nel conflitto da poco terminato li porterà ad essere reciprocamente diffidenti. Un altro aspetto significativo ed apprezzabile del film risiede nel fatto di non menzionare mai esplicitamente la parola "serbo" o "croato" (o "bosniaco" o "sloveno" o "macedone" o quant'altro): la differenza etnica viene indicata da un generico "quelli là" ed evidenziata dalla costante conflittualità fra i personaggi. Non è una questione di bandiere, nè di religioni o ideologie.
 
L'ultimo episodio resta un po' slegato dal resto del film. A parte ll'immersiva sequenza del rave (altro dazio da pagare al giovanilismo di regime: ma come sono simili a noi italiani questi croati!) e un piano-sequenza finale tirato troppo per le lunghe, è un episodio che pone al centro un'umile richiesta di perdono e un desiderio di ritorno al focolare domestico. E' come se il protagonista avesse una colpa da espiare: Matanic pare suggerire che anche in tempo di pace c'è sempre qualche buon motivo per vergognarsi delle proprie azioni.
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