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Sole alto

Regia di Dalibor Matanic vedi scheda film

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La recensione su Sole alto

di laulilla
8 stelle

Tre storie d’amore in terra di Croazia, negli anni tormentati della guerra inter-etnica crudele e barbarica che dal 1991 al 1995 aveva opposto la popolazione di origine croata ai serbi che lì abitavano, essendo vissuti per secoli sul territorio dove avevano costruito case e futuro per le loro famiglie, formate spesso senza troppo badare alla purezza delle origini etniche. Tale questione sembrava essere diventata di capitale importanza solo ora, dopo che, morto Tito, si stava disgregando lo stato della Jugoslavia sotto la spinta irrazionale dei nazionalismi più estremi.
I vicini di casa o di villaggio (in questo caso i serbi) erano diventati “quelli là”, gli intrusi, gli invasori non invitati, che avrebbero dovuto tornare a casa loro (?): Il sonno della ragione* stava generando i nuovi mostri del pregiudizio, della diffidenza, della paura e dell’odio. Questa era l’aria che si respirava nel 1991, alla vigilia della guerra civile, nel tempo in cui si amavano la serba Jelena (Tihana Lazovic) e il croato Ivan (Goran Markovic), con la profondità e la forza sensuale dei loro vent’anni: raramente si era vista al cinema una rappresentazione così francamente carnale e insieme così pura e innocente dell’amore, fatto di attrazione tenera, di improvvisi capricci, di repulsioni inattese, di slanci appena turbati dall’orizzonte sempre più oscuro, mentre le frontiere si chiudevano soffocando i sogni in un presente senza speranza.

Con un bellissimo passaggio musicale si arriva al secondo episodio del film: una storia ambientata nel 2001, ovvero a dieci anni dalla prima, quando la guerra si era finalmente conclusa.
I personaggi ora si chiamano Natascia (croata) e Ante (serbo), ma (vero colpo di genio del regista) gli interpreti sono gli stessi, così come sembra essere lo stesso il paesaggio in cui si muovono, ciò che indica la continuità della vicenda che, in fondo, è unica in tutto il film. 
I disastri della guerra
* si avvertono nel villaggio di case sventrate dai bombardamenti, così come nel loro cuore di sopravvissuti, in cui il dolore per i lutti si unisce al rancore per ciò che è avvenuto.
Natascia e Ante sono giovani: lui è un bravo carpentiere, che sta riparando i danni e le devastazioni belliche nella casa distrutta e violata in cui lei è tornata a vivere con sua madre. Da Natascia, che è fortemente attratta da lui, arrivano inviti e segnali sempre più espliciti, che infine Ante raccoglie:

Lo slancio sensuale, chiarissimo anche in questo episodio, è però come offuscato dal sentire rancoroso di lei, splendidamente simbolizzato, alla fine del racconto, dallo specchio annerito che ci rimanda il loro amplesso in modo confuso e deformato: tracce di sporcizia ne hanno opacizzato la superficie, cosicché sembra riflettere immagini remotissime, prive di gioia, in una scena di grande eleganza e ricchissima di implicazioni metaforiche, che ci racconta l’impossibilità di vivere pienamente l’amore quando il passato che non si riesce a dimenticare è ancora troppo vicino e il risentimento per le offese subite non è ancora razionalmente dominabile.

Ancora uno splendido stacco musicale ci introduce all’ultimo episodio, ambientato nei pressi di Spalato in tempi più recenti: siamo nel 2011.
Marja e Luka (sempre gli stessi attori) si sono amati; ne è nato un figlio, ma ognuno si è chiuso in sé; Luka è tornato a studiare in città e preferisce non tornare in famiglia dove una madre gli ricorda il passato da soldato-eroe, per il quale egli si sente in colpa e per il quale Marija, che ha perso un fratello, ora gli vieta persino di vedere il piccolo:

Dopo un drammatico incontro fra i due che ancora si amano, una porta lasciata aperta, al mattino, dopo una notte da dimenticare, potrebbe forse preludere al perdono e alla riconciliazione, non facile ma necessario nell’interesse del bambino. Il processo di riavvicinamento, per quanto lento, forse è possibile.
L’intento politico del regista diventa più evidente in quest’ultimo episodio, ma è presente in tutto il film bellissimo che non a caso è stato realizzato dai capitali congiunti di produttori serbi, croati e sloveni. La pellicola è purtroppo poco distribuita nelle nostre sale, ma è sicuramente da vedere e molto da meditare.

Non so, né forse è interessante sapere, se questo magnifica opera, premiata a Cannes (Un certain regard) nel 2015, sia la migliore tra quelle che si sono viste quest’anno, come alcuni sostengono. Mi pare in ogni caso giusto dire che la sua visione è irrinunciabile, perché difficilmente si incontra un film così insolito e così ben risolto: dalla fotografia molto suggestiva dello splendido paesaggio, alla musica molto pertinente; dai personaggi umanamente veri e plausibili, alla sensualità aperta e profonda. Il film, inoltre, è capace di veicolare, con la massima evidenza, un messaggio morale e politico alto in modo non predicatorio, affidandosi esclusivamente alla forza delle immagini e alla grande interpretazione dei due straordinari protagonisti. Un gran bel film, insomma, tra i migliori che hanno trattato l’argomento delle guerre jugoslave, fra i quali vorrei ricordarne due: Il sentiero;  Perfect Day.

 

*I richiami alle incisioni di Goya sono persino troppo ovvi.

 

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