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Rams - Storia di due fratelli e otto pecore

Regia di Grímur Hákonarson vedi scheda film

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La recensione su Rams - Storia di due fratelli e otto pecore

di laulilla
7 stelle

L’Islanda, l’isola di ghiaccio non è solo il paradiso dei turisti in cerca di geysers: nelle valli interne è una terrra avara sulla quale alcuni nuclei abitati si sono stanziati, quasi sfidando la natura.

 

Il regista Grímur Hákonarson racconta che nella sua bellissima isola di ghiaccio uomini e donne da tempo abitano nei piccoli villaggi delle ampie vallate dell’altopiano interno, sfruttandone i pascoli, lontani dal consorzio umano.

Gli allevamenti ovini sono redditizi: si  guadagna grazie alla vendita dei latticini e delle carni degli animali, della loro pelle e delle loro  lane, ciò che anche a loro garantisce, all’interno delle proprie dimore, cibo e vita di qualità, alleviando forse il peso della loro vita solitaria.

Nel caso dei più recenti insediamenti, la resistenza è minore: qualcuno vorrebbe andarsene; altri senza troppo esitare, abbandonano e tornano nelle loro cittadine.

Rimangono quelli che sono legati ai luoghi per tradizione familiare, come nel caso dei fratelli, Gummi (Sigurður Sigurjónsson) Kiddiley (Theódór Júlíusson), fra i quali tuttavia non correva buon sangue (non si  parlavano da quarant’anni), pur vivendo non troppo lontani e pur amando entrambi quel lavoro a cui si dedicavano con molta cura, cercando di mantenere vivi i ricordi di famiglia.


La stessa severità di quell'ambiente naturale, d’altra parte, spingeva alla vita solitaria, all’individualismo della sfida impossibile, alle consolazioni dell’alcol, cosicché ogni tentativo di disgelo fra loro era reso inutile dalla violenza impulsiva di Kiddiley, l’ubriacone, escluso dalla proprietà ereditaria proprio per la sua irriflessiva rabbia: era sempre pronto a difendere le proprie ragioni (poche) e i propri torti (molti) col fucile, mentre Gummi era più pacato e maggiormente disposto a usare il cervello.

Un giorno, dopo aver scorto i sintomi di scrapie, gravissima malattia neurologica, nel montone dell’allevamento fraterno – aveva da poco vinto la gara di bellezza fra gli appolausi dei giurati e del pubblico – Gummi, com’era suo dovere, aveva avvisato le autorità sanitarie, pur immaginando quale tragica reazione a catena si sarebbe messa in moto, e non solo da parte di Kiddiley.

La scrapie era stata accertata, infatti, e si era deciso perciò di abbattere tutti gli ovini della zona e di bonificare le stalle e il terreno, per preparare, di lì a qualche anno, le condizioni ottimali per riprendere gli allevamenti: un dramma collettivo, neppure attenuato dal sostegno economico che, in ogni caso, il minuscolo stato islandese avrebbe assicurato a tutti i danneggiati, poiché quelle greggi erano per gli allevatori qualcosa di più importante di una preziosa risorsa. Esse, infatti, oltre a essere l’oggetto delle loro occupazioni (e anche preoccupazioni) quotidiane, costituivano, insieme ai cani, a qualche mucca e ai cavalli la compagnia mite e fidata che rendeva meno pesante l'isolamento.
Per questo, nel villaggio, tutti indistintamente riservavano a questi animali le cure più attente e affettuose: ogni pecora, ogni montone erano persone care, figli a cui badare con attenzione paterna. Di fronte alla tragica prospettiva del loro abbattimento la reazione di Gummi era stata insieme dolorosa e fiera: avrebbe ucciso da sé le bellissime pecore e le avrebbe sepolte nella terra in cui erano state allevate; in realtà, con la riserva mentale di salvare le più belle e sane, otto in tutto, mentre un robusto montone avrebbe garantito la perpetuazione della loro razza pregiata.


Non sarebbe andata così, naturalmente, sia perché quella terra avrebbe dovuto essere disinfettata a fondo, sia perché l’allevamento segreto di Gummi sarebbe stato presto scoperto.

Non dirò di più: il regista prepara il finale bellissimo e toccante di questa vicenda (accaduta nella realtà) coinvolgendoci nell’amaro e lento mutare del cuore di Kiddiley, sfiorando la tragedia, con un l'invito implicito a ritrovare il senso della vita nella solidarietà indispensabile a fronteggiare le insidie più spietate della natura.

 

 

 

 

Il film ha vinto, al Festival di Cannes 2015, il premio per la sezione Un certain regard ed è stato candidato dall’Islanda al premio Oscar come miglior film straniero. 

La storia dei due fratelli cui fa cenno il titolo italiano (che, come al solito, distorce, per inopinata volontà di spiegare, quello originale, Hrútar, ovvero montoni, equivalente all’inglese Rams) mi è parso quasi un apologo dal sapore leopardiano. 



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