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Louisiana

Regia di Roberto Minervini vedi scheda film

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La recensione su Louisiana

di laulilla
8 stelle

Quarto film-documentario (i precedenti sono sul Texas) di Roberto Minervini, regista marchigiano, che vive e lavora negli Stati Uniti. Presentato al Festival di Cannes del 2015, nella sezione Un certain regard e, successivamente, a Berlino.

 

Louisiana (The other Side) è un racconto dell’aspetto più segreto e oscuro degli Stati Uniti, quello che il cinema ha trattato generalmente nei documentari – firmati da registi militanti  e impegnati – o nelle pellicole del cinema indipendente americano che ha fatto conoscere l’America meno conosciuta, quella fuori dai circuiti turistici, seguendo i quali tutto è bello, pulito e scintillante.

Louisiana è, secondo le dichiarazioni di Roberto Minervini, uno scrupoloso documentario, girato da lui e da una coppia di operatori, che a turni di mezz’ora (il tempo massimo oltre il quale la pesantissima macchina da presa a spalla non sarebbe stata sopportabile) si erano avvicendati nelle riprese.


In fase di post-produzione, egli stesso aveva sottoposto tutto il materiale raccolto a un montaggio severissimo, senza risparmiare tagli, per farne un’opera così accurata ed elegante da risultare infine un vero film d’autore, capace di trasmettere la dignità dell’universo dei perdenti che aveva avvicinato, amato e rispettato nella loro emarginazione rassegnata e disperata.

L’opera si muove lungo due percorsi narrativi, il primo dei quali segue le giornate di un giovane drogato, produttore e spacciatore di crack, nelle sue relazioni familiari, nella sua vita sociale e amorosa.

 

 

 

 

Il secondo percorso, apparentemente il più politico, segue a distanza ravvicinata le discussioni un po’ buffe fra gli anziani che confusamente ricordano il loro passato di sindacalisti democratici e i discorsi di un gruppo di razzisti che, vivono in stato d'assedio, terrorizzati dalla prossima invasione dei loro territori e delle loro case, e che si esercitano con mitra e bombe ad affrontare il pericolo, al fine di salvaguardare le proprie amatissime famiglie.

 

 

 

 

Ne risulta un lavoro insolito dai contenuti inattesi che, sebbene inquietanti, imbarazzanti, dolorosi, non diventano oggetto di illuministica denuncia dell'ingiustizia sociale, poiché il regista lascia prevalere sempre il racconto soggettivo dei looser  senza contraddire e senza obiettare.


Sono uomini di un’America diversa, quella degli sconfitti nelle loro illusioni e confusamente ribelli alle leggi e allo stato, ritenuto responsabile delle loro sventure. Essi non solo sostengono le ragioni di coloro che doovrebbero combattere, ma dichiarano il proprio odio razziale per  chi ha creduto a Obama e lo ha votato, finché, alla fine del film, si impegnano in un raccapricciante atto terroristico contro l’auto che ospita l’effigie dell’odiato presidente.

 

È dunque un originale film-documentario creato da un talentuoso regista che ha cercato nella nitida bellezza delle immagini di restituire dignità umana al dolore: può diventare molto disturbante per gli spettatori che, aspettandosi un tradizionale documentario si sentono completamente straniati.

Consigliabile vederlo: potrebbe aiutare a comprendere meglio i fatti gravissimi di Capitol Hill e la fascinazione dei disperati verso un furbacchione capace di creare illusioni e attese irrealizzabili.

 

 

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