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Louisiana

Regia di Roberto Minervini vedi scheda film

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La recensione su Louisiana

di logos
7 stelle

Con uno sguardo antropologico, Minervini ci mostra l’altra parte dell’America, quella non visibile, composta da uomini e donne in una comunità che sopravvive a se stessa, nel mescolio delle generazioni, tra anziani veterani che in preda all’alcool osannano il sogno americano e nipoti che vengono rassicurati, sul fatto che diventeranno soldati e sapranno tornare a casa. 

 

Non vi sono solo anziani, ma anche giovani, uomini e donne, che vivono in scassate roulotte, che si stordiscono dalla sofferenza socio-economica e esistenziale con lap dance, eroina e metanfetamine, fatte in casa. Ma tutti sono accomunati dal sogno americano, dall’amore per la sua Costituzione, che esalta la libertà; tutti accomunati contro la presidenza attuale, che sta distruggendo quel sogno, perché Obama è un nero, e come tale ha reso orgogliosi i neri ma in realtà se ne frega pensando solo ai suoi interessi. Meglio allora votare la Clinton, perché le donne hanno sempre guidato gli uomini, soprattutto a letto, prima di andare a dormire, elargendo suggerimenti e imperativi. Sono questi i discorsi che girano nella comunità, in occasione della commemorazione del giorno dell’Indipendenza o durante la vigilia di Natale.

 

La regia si sofferma soprattutto su Mark, un uomo che vive di espedienti, di lavoro alla giornata, che produce anfetamine e non riesce a smettere di bucarsi. Mark tiene tutto dentro, il suo dolore più grande è l’imminente morte di sua madre per cancro; ed è per questo che non riesce a smettere di farsi, se non attendendo la dipartita della madre per andare poi a costituirsi e scontare tre mesi residui di galera. Lo vediamo stringersi il laccio al braccio per il suo buco quotidiano, amare la sua donna e condividere insieme lo stordimento del crack, preparare accuratamente le anfetamine da vendere alla comunità, ma soprattutto ha una buona parola per tutti, per sua mamma e per sua nonna, alla quale delicatamente accarezza le mani mentre lei si addormenta dolcemente dopo aver ballato la sua musica country.

 

Non c’è molto da dire su questo film, ma molto da vedere: le immagini dicono proprio tutto, perché restituiscono una realtà sociale davvero disturbante, che fa star male e volutamente. Perché si tratta di volti e corpi distrutti, schiacciati dal costo di un sogno americano che nonostante tutto difendono a spada tratta, contro la stessa amministrazione vigente. In queste esistenze contraddittorie, alienate, in grado però di confrontarsi e dialogare nella resa, non vi è alcuna mistificazione, sono i segni viventi di una globalizzazione che dimentica gli scarti che continuamente produce. Ma questi scarti sono esistenze reali, che vivono tra la natura e il fango del Mississipi, tra i colori della luce del sole e il buio delle loro case, come se il loro peccato fosse quello di occupare una zona grigia, dove il bene e il male, l’innocenza e la violenza sono costrette a convivere e mantenere un equilibrio dinamico di relazioni altrimenti impossibile.

 

E poi ci sono i paramilitari, reduci di guerra, che vogliono insegnare l’arte della difesa, perché pensano che prima o poi se ne vedranno delle belle, nel senso che il governo nazionale varerà la legge marziale e verrà spazzata via la comunità. Dicono che quando si è in guerra si diventa come fratelli, perché al vero soldato non interessa chi sta in alto e impartisce ordini, gli importa di chi gli è a fianco e combatte con lui rischiando la vita. Perciò si esercitano con armi, simulando azioni di assalto, in modo da imprimersi il sentimento del legame per difendere le loro famiglie; e sparano, sparano contro il bersaglio, la faccia Obama in una macchina, che viene bruciata e distrutta. Niente può strapparli dalle loro illusioni di essere i patrioti di domani, niente può ristabilire un riequilibrio tra l’una e l’altra parte dell’America, e proprio niente può riorganizzare la lotta di classe in vista di un mondo umano. Perché ossessivamente, come un mantra, il sogno della libertà incatena l’altra parte invisibile a quella visibile degli USA, e così il mondo continua, ristrutturando le frontiere, allargandole e restringendole a seconda del suo campo d’azione imperiale.      

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