Regia di Roberto Minervini vedi scheda film
Uno dice Louisiana e pensa alla Nuova Orleans, al jazz, ai neri, al pollo fritto, ai coccodrilli e alla voglia di vivere, sempre e comunque.
Uno dice Louisiana e pensa però anche a quei giorni del 2005, quasi 10 anni fa esatti, in cui la Natura ebbe una delle sue manie di superiorità, e si divertì a fare un pò di casino, giusto per dimostrare all'Uomo che può credersi chi vuole, anche stocazzo, che può cercare di prevenire e arginare tutto, ma se lei si incazza e vuol divertirsi l'unica cosa che l'Uomo può riuscire a fare è dare un nome alle cose, e quel nome fu Katrina.
Uno dice Louisiana e pensa a quello che rimase, e rimane, di quei giorni, pensa alle paludi, agli acquitrini, al fango, alle baracche lasciate marcire nell'apocalisse, agli uomini che se ne vanno via.
Eppure la Louisiana non è solo tutto questo, e c'è un giovane regista italiano che ha provato a raccontarla da un altro lato (forse uno dei tanti possibili tentativi di traduzione del titolo originale), un lato che non ha la musica dentro, non ha i neri creoli, non ha il pollo fritto ma nemmeno paludi e acquitrini, niente.
Questo regista si chiama Minervini ed ha avuto la grandissima arroganza di intraprendere un progetto cinematografico serio, in un mondo in cui il cinema è cotto e mangiato, è improvvisazione, è necessità di incasso, è reificazione di un ego personale, è sottomissione a progetti, anche banali, altrui.
Lui no, lui è partito da Fermo, nelle Marche, ed è finito a girarsi gli Stati Uniti per raccontarne piccole storie di piccole comunità, a ricordare che quel grande Stato che tutti credono lucente ed immenso in realtà nasconde di tutto, mille realtà una completamente diversa dall'altra, dalla baracca all'Empire State, da uomini completamente assuefatti dalla Bibbia ad altri che non sembrano mai aver avuto nessun Dio, nemmeno quello più piccolo, il dio che non sta nei cieli ma prova ad aiutarti nella terra.
E così, dopo la Trilogia del Texas (della quale in questo blog abbiamo recensito Stop the pounding Heart), Minervini cambia stato e ci racconta la Louisiana ma, come detto, una Louisiana diversa, fatta di bianchi uomini derelitti in balia della disperazione.
E poche volte vi capiterà di vedere un film più disperato di questo, più squallido, più umanamente brado.
Questa è una pellicola principalmente di volti e corpi, ma sono tutti volti e corpi deformati, quasi decomposti, brutti involucri di vite stanche e prive di senso.
Il corpo nudo di lui, statuario, ma con un volto distrutto dalla vita e dell'eroina, quello di lei, brutto e flaccido, quello del fratello, grasso e già morto a 17 anni, quello dei vecchi veterani ubriachi, corpi grinzosi, quasi repellenti, e visi, come quello dello zio Jim che tentano a fatica di mostrarsi ancora umani, ultimo aspetto di una testa ormai persa per sempre nel potere distruttore dell'alcool. C'è poi il corpo bello e sexy della spogliarellista incinta ma anch'esso diventa repulsione, con quell'ago e quell'eroina che vi penetrano dentro. Fili emostatici, braccia tese, addirittura grassi e cadenti seni ad accoglierla, l'eroina (o quello che è) imperversa in vite in cui quella della droga sembra l'unica e vera soluzione possibile.
Così tanto che Mark, il protagonista (che malgrado tutto lo schifo che fa e ha addosso ha un sorriso bellissimo, che conquista, tenerissimo), lo dice anche "Non smetterò di farmi finchè starò in questa città di merda, mi farò ogni giorno, solo la prigione o un altro luogo potrà salvarmi".
E allora in questa terra dimenticata sia da Dio che dal proprio stato (uno dei punti ci contatto tra le due vicende raccontate ne film è l'odio viscerale contro il governo del "negro" Obama), in questa terra devastata non possono che nascere e vivere vite devastate, ma in modo così radicale che forse l'unico modo per trovare una verde piantina di speranza sarebbe l'esistenza di un robottino, un Wall-E che rovistasse tra tutto e poi, una volta trovatola, mostrasse quella piantina a tutti.
Per farceli almeno credere.
Siamo al confine tra il documentario e la fiction, molto più vicini al primo, perchè non c'è una minima scena che non sia vera vita vissuta, ma sempre raccontata e sceneggiata dalla seconda. Ecco, l'avevo già visto in Stop the pounding heart, e forse è questo l'unico difetto o problema del cinema di Minervini. Perchè assistiamo ad un paradosso, per cui il regista italiano sceneggia tutto (aderendo comunque perfettamente alla realtà) ma senza poi arrivare da nessuna parte. Se sceneggi allora vorremmo anche una storia, se non mi dai la storia allora, forse, ci vorrebbe una regia ancora più distaccata, semplice osservatrice, e non così mise en scene.
Sta di fatto che questo è cinema molto potente, perchè non c'è niente di più potente della vita vera, niente di più devastante, nessun film catastrofico hollywoodiano in cui si distruggono intere città può avere l'impatto di un ago che penetra un seno e regala morte.
Poi il film cambia, radicalmente.
Siamo in una simulazione di guerra, una decina di ragazzi incazzati gioca, ma non tanto, a fare i soldati. Scopriamo poi che sono simulazioni affatto divertite, che quella è una piccola comunità che da sola, indipendente, assolutamente fuori dallo stato (anzi, assolutamente contro di esso) si prepara ad imparare a fare la guerra per difendere le "proprie famiglie" da quello che accadrà in futuro.
Siamo spiazzati,
Che c'entra col resto, con tutto quello che abbiamo visto fino ad adesso?
E poi capiamo, o crediamo di aver capito, che questo giocare seriamente alla guerra, questo odio, è come l'eroina della vicenda di Mark, l'unico sfogo trovato per combattere le proprie condizioni. Dove in una era un ago che entra sottopelle qua sono proiettili che escono dalle canne.
Ma c'è sempre disperazione, odio, volontà di far qualcosa per combattere l'inerzia.
E c'è volontà distruttiva, come era di sè nel racconto di Mark è degli altri adesso.
Ho ripensato allora a Stop the pounding heart, a quello che raccontava, a quello che anche il suo meraviglioso titolo esprimeva.
"Ferma quel cuore pulsante" diceva.
E a parlare era una Bibbia che voleva proibire l'emozione, il sentimento, il sentirsi vivi.
Una placida e apparentemente indolore anestesia dal tutto.
E tutto quello che era repressione in quel film diventa esplosione in questo, che sia eroina o pallottole.
Si esce scossi, sicuri di aver visto qualcosa di potente e squallido, repellente.
Ma vero, vero come poche cose lo sono.
E allora abbiamo solo un'immagine per aggrapparci all'other side della vita, alla sua parte più bella.
Ed è una nonna con un cappello rosso, è un abbraccio, è una carezza di mano, è un ultimo tenero ricordarsi che, quando vogliamo, siamo una specie meravigliosa.
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