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La vita davanti a sé

Regia di Moshe Mizrahi vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su La vita davanti a sé

di alan smithee
5 stelle

Una ormai attempata donna ebrea, scampata per miracolo alle persecuzioni naziste dell’Ultima Guerra, si è poi trasferita a Parigi, esercitando il mestiere di prostituta. Con l’incedere della vecchiaia, la donna, malata di diabete, sofferente di cuore ed altre complicanze, trasforma la sua attività mantenendo, dietro pagamento, i figli delle prostitute, impossibilitate ad allevare prole.

Ma glia affari vanno maluccio perché sempre più spesso le madri si dimenticano dei figli, o non pagano loro più la retta e questi rimangono a carico della anziana donna, scorbutica solo di facciata, in realtà di gran cuore.

A poco servono i lavori alternativi a cui si dedica la donna, tra cui quello di scrittrice di lettere per conto di un nigeriano giunto nella capitale, rivolte ai suoi parenti africani.

Ma chi sta più a cuore di Madame Rosa è Momo, nato da genitori musulmani, con una madre scomparsa ed un padre folle ricoverato in manicomio: la retta del ragazzo arriva puntuale, ma dei genitori nessuna traccia e la donna, preoccupata di mandare a scuola il bambino, si dispera per cercare di rintracciarli.

Ma quando le condizioni di Madame Rosa peggiorano, e le prostitute cominciano a portare via i loro bambini dalla donna ormai inferma, Momo intuisce che è il momento per il ragazzo di mostrare alla donna tutta la riconoscenza che questa si è meritata in quegli anni difficili in cui lo ha allevato come una vera madre, arrivando ad occultargli parte degli anni per poterlo tenere sempre con sé.

Da un romanzo notissimo di Romain Gary (firmato con lo pseudonimo di Emile Ajar, e solo in seguito alla morte dell’autore restituito alla paternità del celebre scrittore), La vita davanti a sé è diretto in modo piuttosto convenzionale da un regista di nome Moshe Mizrahi, ormai pressoché dimenticato, nonostante il film si sia valso addirittura del Premio Oscar come miglior film straniero nel 1978.

Le inquadrature, la fotografia, le scelte narrative non presentano mai alcuna soluzione soddisfacente o di pregio, e la pellicola può solo agevolarsi dell’apporto attoriale della grandissima Simone Signoret, che sostiene tutto il peso dell’operazione, dando vita ad un personaggio veramente riuscito. Lo stesso interprete giovane del bambino, appare piuttosto intimorito, per nulla espressivo, e anzi piuttosto legnoso ed improvvisato, per nulla coadiuvato da una regia che riesca a limitarne l’imbarazzo evidente.

Circostanza quest’ultima che non giustifica il prestigioso premio al film, né è sufficiente a salvare più di tanto una pellicola scialba che procede senza alcuna verve nel dispiego della sua trama, al contrario coinvolgente ed emotivamente accattivante.

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