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La visita

Regia di Antonio Pietrangeli vedi scheda film

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La recensione su La visita

di sasso67
10 stelle

Se il valore di un regista si deve giudicare dalla riuscita dei suoi film, allora sarebbe l'ora di rivedere al rialzo le quotazioni di Antonio Pietrangeli, che è riuscito a darci alcune opere fondamentali, pur in una carriera non lunghissima (morì, a 49 anni, nel luglio del 1968). La visita è una di queste opere, insieme quanto meno a La parmigiana e a Io la conoscevo bene. Nei suoi film, Pietrangeli non si è limitato ad offrire acuti ritratti femminili - qualità che gli è unanimemente riconosciuta - ma sguardi penetranti sugli italiani e sull'Italia del boom economico, ma anche ritratti psicologici dei personaggi, tali da non avere molto da invidiare al miglior cinema e alla migliore letteratura d'oltralpe. È stato scritto, secondo me assai giustamente, che Pietrangeli osserva come, negli anni Sessanta, ad un progresso tecnologico, simboleggiato dagli oggetti (dalle penne biro alla motozappa, fino al treno, salutato al passaggio da una bambina e minacciato da un uomo che prende parte a un funerale; ma si veda anche l'equivoco sul sistema d'accensione del caminetto), non corrisponda un equivalente progresso sul piano umano.

 

Nella Visita si incontrano - e scontrano - due solitudini analoghe ed opposte: tanto sognatrice e carica di desideri impossibili la Pina (Aldo Viganò fa notare come, in una delle prime scene, ella tenti di raddrizzare un'immagine della torre di Pisa appesa alla parete), quanto è cinico e prosaico, imbevuto di "cultura" ragionieristica e superficiale («il libro non l'ho letto, ma ne ho venduto trenta copie») il signor Adolfo. Intorno a questo incontro, destinato a risolversi in un'implosione più che in un'esplosione - delle relazioni e dei sentimenti - si muove un'umanità meschina, nella quale dominano la diffidenza (dei provinciali per il cittadino e viceversa), il sarcasmo (all'interno della libreria romana in cui Adolfo lavora) ed un gretto desiderio di profitto (lo stesso Adolfo mira alle proprietà della Pina e progetta di aprire una cartolibreria al paesello). E tuttavia Pietrangeli, all'interno di questa "massa" sulla quale non sembra nutrire soverchia fiducia, salva gli individui che, pur nelle loro piccinerie, sanno alla fine fare un esame di coscienza ed uscire dalla finzione che li ha imprigionati fino ad un attimo prima. Assumono la funzione di catalizzatori delle tensioni tra i due protagonisti due personaggi collaterali, ma fondamentali, come il matto del paese Cucaracha (un inquietante Mario Adorf), dotato di un animalesco fiuto per le persone, necessario a far esplodere i conflitti latenti, e il tenero camionista Busso Renato (bravissimo e sobrio Gastone Moschin), che li ricompone.

 

Il film si vale di due interpretazioni di grande valore, quella di Sandra Milo, probabilmente nella sua miglior prova d'attrice, e quella di un eccezionale François Périer (che replica, in certo qual modo, il personaggio del ragionier D'Onofrio già interpretato per Fellini in Le notti di Cabiria), il quale sa recitare anche con i nei del viso.

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