Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Film amarissimo sul crollo delle illusioni dell'altruismo, dall'epilogo pessimista in cui la purezza delle intenzioni va a schiantarsi contro un'umanità egoista, ingrata ed incapace di apprezzare il bene ricevuto. Girato in stile realista dal maestro del surrealismo, che confeziona un'opera che colpisce per la potenza figurativa e simbolica.
Viridiana è una giovane novizia in procinto di prendere i voti ed entrare in clausura che, su ordine della madre superiora, si allontana di malavoglia dal convento per una visita al vecchio zio vedovo che ne ha finanziato gli studi. Giunta nella magione di campagna dove questi risiede assistito da una domestica, Viridiana è oggetto delle morbose attenzioni del viscido parente, disposto a tutto purché ella rimanga con lui, persino ad inventarsi di averla stuprata, e che finisce per togliersi la vita al suo netto rifiuto. Sconvolta da questi eventi per cui si sente in colpa, Viridiana decide di non rientrare al convento, ma di vivere la sua fede in maniera concreta, attraverso la gestione delle proprietà lasciate dallo zio, eredità che condivide con Jorge, il figlio del defunto. Devota ai principi della carità cristiana, cerca di trasformare la villa in un sorta di ospizio per poveri, raccogliendo i senzatetto ed i disadattati della comunità, sotto gli occhi perplessi ed increduli del cugino, materialista e donnaiolo, che si occupa di far fruttare i terreni e di entrate nelle mutande delle donne della magione, Viridiana compresa.
Film amarissimo sul crollo delle illusioni dell'altruismo, dall'epilogo pessimista in cui la purezza delle intenzioni va a schiantarsi contro un'umanità egoista, ingrata ed incapace di apprezzare il bene ricevuto. La bruttura della natura umana esplode nell'immaginifica sequenza del pantagruelico banchetto abusivo e devastatore dei barboni, che comprende anche una posa per una finta oscena fotografia riproducente la celebre iconografia dell'Ultima Cena, sequenza che tanto scandalizzò all'epoca la chiesa cattolica. E così nello sconfortante finale, la sconfitta Viridiana, mentre la sua corona di spine va in fiamme, si rassegna ad una vita edonistica e borghese del tutto opposta alla precedente austerità; si scioglie i capelli reinventandosi come amante del lussurioso cugino, neppure esclusiva, bensì in un ambiguo ménage à trois. E' il trionfo del materialismo pragmatico di Jorge che ci aveva visto lungo sull'irredimibilità degli ospiti, che salva la situazione col denaro e conquista la “bigotta”. Che poi questa soluzione porti la ragazza alla felicità è una risposta che il film non offre, pur essendovi motivo di dubitarne.
Un cattivissimo Buñuel non fa sconti a nessuno, né alla morale cattolica dipinta come illusoria, ma nemmeno ai spesso mitizzati “ultimi” che qui disgustano nella loro volgarità ed ingratitudine, sporcando e distruggendo quel che era stato loro donato. La beffarda conclusione è che Viridiana avrebbe potuto condurre la pura esistenza “cristiana” che idealizzava solo nell'isolamento della reclusione del convento, separata dal mondo reale, in cui non c'è spazio per la santità, e dalla meschinità della natura umana: immersa nella cruda realtà, è costretta ad arrendersi ed a diventare preda di quel contesto che voleva cambiare.
Il maestro del surrealismo cinematografico, amico e collaboratore di Salvador Dalì, in questo film girato in rigoroso bianco e nero sceglie un registro maggiormente improntato al realismo. Si concentra sul dettaglio “umano” nei primi piani, sulle relazioni interpersonali (gli spassosi battibecchi tra i poveri, che lungi da mostrare mutua solidarietà passano il tempo ad attaccarsi e punzecchiarsi) e su particolari apparentemente insignificanti di vita quotidiana (ad esempio lo zio che salva una vespa che stava annegando in una tinozza d'acqua mentre racconta del figlio illegittimo), che rivestono in realtà un significato simbolico. A livello di simboli, Buñuel gioca sul filo della blasfemia (soprattutto per i tempi) con l'iconografia cattolica: oltre alla citata parodia dell'ultima cena, un coltellino nascosto in un crocifisso, la corona di spine gettata in un falò, la musica sacra di Haendel ad accompagnare l'orgia devastatrice. Anche adottando questo stile apparentemente semplice confeziona un'opera che colpisce per la potenza figurativa delle immagini (quando lo zio in un accesso necrofilo convince Viridiana ad indossare l’abito della defunta moglie!), lasciandosi poi la briglia sciolta nella scena del pantagruelico banchetto.
Tra gli eccellenti interpreti, la splendida Silvia Pinal è algida al punto giusto, Franceso Rabal (Jorge) fa il macho sfrontato e impenitente e Fernando Rey delinea una figura tragicomica di vecchio morboso.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta