Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Viridiana è una novizia che sta per perfezionare il suo giuramento di fedeltà attraverso i voti, quando inaspettatamente la madre superiora la invita, non senza insistenza, a far sì che la giovane si rechi a trovare per l’ultima volta l’unico parente rimastole, un vecchio ricco zio vedovo che ritrova nei lineamenti solari ed aggraziati della giovane, una parvenza delle sembianze della defunta moglie.
Lo zio vuole sedurre Viridiana, e medita un piano infingardo e vigliacco per indurla a soprassedere ai voti: la narcotizza e le comunica, al risveglio, di averla violentata. Alla notizia la giovane, anziché rinunciare al convento, vi si precipita. Preso alla sprovvista e nel pieno sconforto, il vecchio si impicca.
Distrutta dal senso di colpa, Viridiana rinuncia ai voti e prende possesso della villa del defunto, ereditata assieme al figlio prodigo e superficiale del vecchio: decide di dare accoglienza ai molti derelitti che popolano le strade attinenti alla proprietà, cercando in qualche modo di recar virtù a quel luogo cupo e spiritualmente lontano dalla grazia di Dio.
Sarà una disfatta, perché anche i diseredati si riveleranno infidi e traditori al pari degli avidi ricchi.
Bunuel, qui meritata Palma d’Oro al Festival di Cannes, ci parla di povertà e si concentra sul ceto dei diseredati, per dimostrarci come anche tra i poveri la cattiveria e l’avidità regnino come sovrane incontrastate della volgarità e della prepotenza.
Un film apparentemente in stile neorealista che tuttavia esplode più volte in episodi ed atteggiamenti ove il surrealismo ha la predominanza sulla veridicità e la drammaticità dell’ambientazione e dei fatti. Splendida, illibata, dunque ingenua e pura, oltre che bionda di stampo quasi “hitchcockiano”, la fidata Silvia Pinal, mentre Francisco Rabal non perde occasione per mostrare il lato laidamente morboso di una borghesia annoiata e bramosa di possesso.
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